L’ANSIA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

ansia coronavirus

scritto da Dr. Alessio Congiu

Fa quasi impressione riferirsi a ciò che stiamo vivendo come ad un periodo che andrà ad occupare una parte specifica della storia dell’uomo: il tempo della pandemia da coronavirus.

Nei giorni che contraddistinsero le grandi guerre, le persone sentivano di stare vivendo un periodo pressoché unico nel suo genere, perché unici erano i vissuti che provavano per gli eventi sconvolgenti che il mondo stava affrontando.

Non c’erano social o dirette televisive a ricordare la drammaticità di quanto stava accadendo. Lo si viveva nell’ascoltare il proprio corpo rispondere al passaggio degli aerei, all’eco delle bombe, quelle che imprimevano nelle città le stesse cicatrici di cui oggi andiamo alla ricerca quando viaggiamo.

Chi non ha toccato con mano quelle esperienze può solo immaginare cosa allora provava la gente nell’uscire per strada, nel fare la spesa, nell’andare al lavoro.

Allo stesso modo, il periodo che stiamo vivendo sarà destinato a riempire le pagine dei libri che un domani verranno letti e studiati da generazioni distanti temporalmente dai vissuti che oggi stiamo vivendo; vissuti che raccontano di qualcosa di questo tempo, ma anche qualcosa di noi stessi, della nostra persona, della nostra storia.

Questo articolo vuole soffermarsi proprio su alcuni di questi vissuti, perché sia possibile scoprire dietro il comune disagio che starebbe contraddistinguendo questo periodo un qualcosa di più intimo e personale.

PERCHÉ  PARLARE DI ANSIA?

don't panic

Si parla di ansia perché è il sentimento che più di ogni altro appare esplicativo del periodo che stiamo affrontando, un periodo in cui viene improvvisamente meno la possibilità di prospettarsi chiaramente quello che sarà il futuro, portandoci a rappresentarci nella nostra mente gli scenari peggiori che potremmo mai immaginarci.

Come un bambino proietta nel buio della notte le paure che albergano nella sua giovane mente, così l’adulto si trova a dipingere gli scenari peggiori al vacillare di ogni sua certezza.

L’ansia d’altronde è proprio questo: un goffo tentativo della nostra psiche di prospettarsi quello che sarà il futuro più immediato, al fine di farci arrivare sufficientemente pronti alla sfida che si crede di dover fronteggiare.

Una forma di preparazione fisica e psicologica a quanto si teme, utile per limitare al massimo l’entità delle conseguenze negative legate all’esposizione con l’evento temuto; come una sorta di illusione di controllo del futuro, per prevenire ogni possibile minaccia alla nostra salute fisica e psicologica.

Un qualcosa di estremamente utile è dunque l’ansia, a patto che gli scenari da essa rappresentati siano quanto meno simili a quelli che potrebbero realmente accadere e che si compiano tutte le operazioni utili a prevenire il rischio ipotizzato.

In caso contrario, infatti, ben poca utilità vi sarebbe da parte del nostro organismo nel mobilitare tutte quelle risorse psico-fisiologiche che occorrerebbero al nostro corpo per mantenersi in vigile attesa di quanto temuto.

A poco servirebbe infatti far aumentare il battito del cuore, la respirazione e la sudorazione a seguito del timore di aver contratto il virus se non sussistessero reali motivi a rendere ragione della paura del contagio.

Ancor meno servirebbe vivere ansia se le energie che questa richiederebbe per mantenerci vigili e attenti non fossero utilizzate efficacemente per prevenire l’eventualità del contagio rispettando le misure cautelative proposte dalle fonti più autorevoli.

coronavirus raccomandazioni

In tutti questi casi, infatti, da normale reazione che l’organismo attiverebbe per segnalarci la presenza di qualcosa che non starebbe andando come vorremmo, l’ansia diventerebbe qualcosa che andrebbe a limitare la nostra giornata, portandoci a vivere una sensazione spiacevole di costrizione fisica e psicologica, di demoralizzazione, di sfiducia in noi stessi.

QUANDO L’ANSIA DIVENTA UN PROBLEMA?

ansia verona

Essere preoccupati che con l’allentamento delle misure contenitive si possa assistere ad una drastica crescita del numero di contagi è un conto, smettere di dormire la sera per tale ragione è un altro.

L’intensità dell’ansia esprime dunque uno dei criteri a cui  gli psicologi si rifanno per valutare se tale reazione fosse realmente “eccessiva“. Vero è, tuttavia, che non tutti hanno la stessa opinione su quando l’ansia possa essere considerata tale.

Per chi si trovasse in prima linea a fronteggiare le conseguenze del diffondersi del coronavirus la percezione di gravità data dall’eventualità del contagio potrebbe essere verosimilmente superiore a quella di chi invece si stesse limitando a lavorare da casa.

Allo stesso modo, persone che a seguito dell’infezione da coronavirus hanno perso un loro caro verosimilmente potrebbero vivere l’idea che altri possano nuovamente contagiarsi con livelli più intensi di ansia rispetto a chi invece non avesse subito alcun tipo di perdita affettiva.

Eventi di vita particolarmente stressanti potrebbero dunque sensibilizzarci al punto da vivere l’eventualità del loro ripresentarsi con una quota di ansia certamente superiore a quella che potrebbe vivere chi invece non avesse mai avuto un tal genere di esperienze.

Il criterio di intensità appena descritto non è tuttavia l’unico a cui è possibile rifarsi per valutare se l’ansia che potremmo stare vivendo possa essere considerata a buon diritto come problematica.

Vivere un’ansia particolarmente intensa a poche ore di distanza da un accertamento medico non rappresenta ovviamente una condizione analoga a quella che potrebbe vivere chi si trovasse a sperimentare simili livelli di ansia per interi giorni, settimane, mesi, o addirittura anni.

Abbiamo dunque la necessità di rifarci almeno ad un altro importante criterio, quello relativo alla frequenza con la quale l’ansia potrebbe star comparendo nella nostra vita.

Va da sé che, tanto più frequentemente ci trovassimo a stretto contatto con questo vissuto, quanto più problematica potrebbe essere considerata la nostra ansia.

In casi simili, l’eccessiva intensità e frequenza dell’ansia sarebbe valutabile confrontando i punteggi riportati in alcuni semplici questionari sull’ansia con quelli ottenuti dalla maggior parte delle persone sottoposte a tali strumenti di valutazione psicologica.

valutare ansia

Per punteggi che si discostassero significativamente da quelli ottenuti dal campione di riferimento con il quale avverrebbe il confronto, sarebbe possibile considerare i livelli di ansia che si starebbero vivendo come un problema oggettivo.

Se tuttavia ci limitassimo a ritenere realmente problematica la nostra ansia chiamando in causa esclusivamente i criteri sopra citati, ci precluderemmo di considerare l’aspetto che più di ogni altro permetterebbe un tal genere di valutazione: il nostro giudizio personale. Facciamo un esempio.

Francesca è una donna di 45 anni, sposata e con due figli, Giorgio e Camilla. Da 15 anni ha aperto un piccolo negozio in centro, poco al di fuori del paesino in cui vive insieme alla sua famiglia.

Solitamente Francesca preferisce andare a lavoro in treno, per evitare lo stress della guida e le lunghe attese prima di trovare parcheggio nei pressi nel proprio negozio.

Con la ripresa della propria attività, tuttavia, Francesca è spaventata all’idea di contrarre il virus andando a lavoro in treno. Teme infatti che eventuali assembramenti possano mettere a rischio la sua salute e di riflesso anche quella dei propri cari.

Francesca sa che andare in treno equivarrebbe a vivere una forte ansia, che si presenterebbe tale e quale ogni giorno, andando e tornando dal proprio negozio.

È per questo che ha deciso che, per tutto il tempo che durerà la pandemia, si recherà a lavoro in macchina, uscendo di casa un po’ prima al mattino per evitare l’eventuale traffico della città.

Possiamo considerare l’ansia di Francesca problematica?

ansia patologica

Ora, se ci limitassimo esclusivamente ai criteri di intensità e frequenza sopra descritti, con grande probabilità potremmo ritenere tale ansia oggettivamente problematica.

Sappiamo infatti che tante persone di questi tempi utilizzano i mezzi di trasporto pubblici per recarsi a lavoro, senza per questo farsi condizionare eccessivamente dall’eventuale ansia che potrebbero vivere.

Al contrario, tale ansia sarebbe loro di aiuto per seguire in modo più rigoroso le procedure di distanziamento sociale e per utilizzare i dispositivi di protezione individuale tuttora previsti per ogni attività svolta al di fuori del proprio domicilio.

Perché dunque non dovremmo considerare problematica l’ansia che Francesca  starebbe vivendo per gli spostamenti?

Semplice, perché per Francesca non costituisce un reale problema, essendo infatti riuscita a trovare una valida alternativa per poter comunque evitare di vedere compromessa la propria attività lavorativa.

Francesca sa che la sua ansia è molto intensa e sa che la vivrebbe frequentemente durante la settimana, ma non la ritiene personalmente problematica, perché non impatta in misura significativa nella sua vita.

mascherina macchina

Il criterio di rilevanza personale, dunque, mostra come, affinché sia possibile valutare la propria ansia come problematica, occorre che tale vissuto rappresenti in primis un problema per la persona che lo starebbe vivendo.

Al contrario, laddove tale criterio non venisse soddisfatto, potremmo forse considerare la reazione emotiva oggettivamente eccessiva, in quanto più intensa e frequente di quella che potrebbero vivere la maggior parte delle persone poste nelle stesse condizioni, ma non per questo un reale problema, essendo infatti percepita soggettivamente come non problematica.

Il criterio di rilevanza personale ci consente dunque di comprendere un po’ più da vicino la reale differenza che intercorre tra i disturbi medici e quelli psicologici: mentre i primi esistono indipendentemente dal giudizio che la persona potrebbe offrire circa il proprio stato di salute (es., diabete), i secondi hanno luogo principalmente se riconosciuti come fortemente limitanti dalla persona stessa (es., problema d’ansia).

L’ansia che potremmo star vivendo in questo periodo, dunque, sarebbe problematica nella misura in cui esprimesse per noi un problema reale, in quanto impattante negativamente nelle attività capaci di darci piacere e benessere.

Tale aspetto non è di secondaria importanza, in quanto rimarca un aspetto spesso trascurato quando si parla di problematiche psicologiche, ossia il ruolo centrale che la persona ha sul processo di valutazione e su quello di guarigione.

CHE ANSIA POTREMMO VIVERE IN QUESTO PERIODO?

#1. PAURA DI CONTAGIARSI

paura contagio

In un periodo delicato come è quello che stiamo vivendo, è più che comprensibile che si possa essere preoccupati all’idea di contrarre il coronavirus.

La possibilità che a seguito di tale infezione si possa incorrere in problematiche mediche gravi e invalidanti è d’altronde reale e visibile agli occhi di tutti.

Abbiamo ben impresse nella nostra mente le immagini dei camion militari che da Bergamo portavano nelle città limitrofe le salme dei deceduti per consentirne la cremazione.

Allo stesso modo, risulta altrettanto comprensibile la forte preoccupazione che potremmo vivere all’idea di contrarre il virus e infettare a nostra volta persone a noi particolarmente care.

È notizia risaputa, infatti, che negli ultimi tempi il diffondersi del virus stia avvenendo principalmente all’interno delle proprie mura domestiche, aspetto quest’ultimo che può spingerci a vivere con livelli diversi di preoccupazione le normali relazioni con le persone con cui staremmo vivendo.

Provare ansia all’idea di contagiarsi o di contagiare un’altra persona è dunque un qualcosa di assolutamente normale oltre che di particolarmente utile in questo momento.

È proprio grazie a simili preoccupazioni, infatti, che il nostro organismo riesce a darci la giusta motivazione per seguire tutta quella serie di precauzioni che le fonti più autorevoli ci invitano ad adottare per limitare la probabilità di acquisire l’infezione tanto temuta, contribuendo in tal modo a non diffondere il contagio.

prevenzione covid

Se dunque provare ansia all’idea di contrarre il virus è un fenomeno assolutamente normale e salutare, la questione attorno a cui ci si potrebbe interrogare sarebbe piuttosto quella di definire quando una simile preoccupazione potrebbe dirsi eccessiva.

Nelle righe precedenti è stato introdotto il discorso che vede nella gravità dell’evento temuto uno dei criteri per mezzo dei quali compiere tal tipo di valutazione.

In merito al tema dell’infezione da coronavirus, le diverse fonti scientifiche hanno da sempre offerto pareri discordanti circa tale fattore, spesso in linea con il livello di conoscenza di cui, di volta in volta, si disponeva di questo agente virale.

È bene sottolineare, tuttavia, come la gravità a cui ci si starebbe qui riferendo per valutare il grado di sproporzionalità dei propri livelli d’ansia poco avrebbe a che fare, in effetti, con il valore oggettivo indicato dagli studi che finora sono stati condotti.

Non a caso si potrebbe essere tra i primi a ritenere la propria ansia eccessiva rispetto a quella che si riterrebbe di dover provare, dati i tassi di mortalità associati a questa infezione.

Tale consapevolezza, infatti, è più spesso associata a quella spiacevole autocritica a cui ci si potrebbe stare sottoponendo nel confrontarsi con gli altri o con l’ideale di se stessi, piuttosto che al ridimensionamento dell’ansia che si starebbe vivendo.

<< Non dovrei vivere così ansia! Sono proprio una persona debole! >>

Più plausibile, invece, la tesi che vedrebbe le persone operare una stima soggettiva della gravità dell’ipotetico contagio.

Affermare tale ipotesi equivale dunque a riconoscere come le persone siano tendenzialmente più spaventate dal modo con cui si rappresentano soggettivamente le conseguenze del contagio, piuttosto che a quelle più oggettive che potrebbero realisticamente accadere.

Tra i più comuni scenari che allarmano maggiormente le persone si trovano:

  • il profondo dolore fisico e il decadimento del proprio corpo, che contraddistingue l’ansia ipocondriaca legata al timore delle malattie;
  • la morte per soffocamento o arresto cardiaco, o la perdita di controllo e impazzimento, tipica dell’ansia legata al timore dell’attacco di panico;
  • la responsabilità personale per il contagio proprio o altrui, caratterizzante l’ansia ossessiva legata al timore della colpa;
  • l’etichettamento sociale conseguente alla presa di consapevolezza degli altri della propria infezione, insita nell’ansia sociale legata al timore del giudizio altrui.

Ad un’attenta analisi, infatti, tali immaginari negativi rivelano ciò che per noi più conta nel momento esatto in cui viviamo ansia.

La paura del contagio che contraddistingue l’ansia ipocondriaca, ad esempio, rivela il forte timore di essere una persona costituzionalmente debole, fragile e insicura, rivelando per contro il desiderio opposto di essere una persona forte, invulnerabile e sicura di sé.

Per tale ragione l’idea di contagiarsi sarebbe vissuta da molte persone con grande preoccupazione, in quanto confermante il proprio più grande timore: essere una persona fisicamente cagionevole, e come tale suscettibile di andare incontro a malattie comportanti un profondo dolore fisico e il decadimento del proprio corpo.

paura malattie

Diversamente, la paura del contagio che vive chi si prospetta scenari di morte o di perdita del controllo rivela la forte avversione per molte delle sensazioni che caratterizzano gli stati più intensi di paura, come ad esempio il rapido incremento del battito cardiaco o la sensazione di sbandamento e svenimento che caratterizza l’attacco di panico.

Non la paura delle conseguenze oggettive del coronavirus, dunque, mai sperimentate prima, quanto piuttosto l’ingente preoccupazione di rivivere quelle stesse sensazioni che in passato hanno portato ad immaginarsi scenari catastrofici e intollerabili, quali la morte per infarto o asfissia, o la perdita della capacità di agire sulla realtà secondo la propria volontà.

depersonalizzazione

Legata ad una concezione moralistica sarebbe invece la preoccupazione del contagio di chi vive un’ansia ossessiva.

In casi simili, infatti, alla normale preoccupazione per le conseguenze fisiche della malattia si sommerebbe una preoccupazione di natura squisitamente etica: il timore di stare contravvenendo al dovere morale di prevenire ogni possibile contagio per se stessi e i propri cari, pena il rischio di essere direttamente responsabili delle proprie o altrui sciagure.

Sotto questa luce la preoccupazione del contagio rivelerebbe in realtà il forte timore di essere considerati dagli altri o da stessi come persone indegne o moralmente riprovevoli di colpa, andando così a ledere l’immagine di persona retta e responsabile che si vorrebbe invece difendere.

venire giudicati

Ultima, ma non per importanza, la preoccupazione del contagio che vive chi sperimenta l’ansia sociale legata al timore di venire giudicati negativamente dagli altri.

La possibilità del contagio spaventerebbe in simili circostanze a motivo della perdita di status che si crede possa conseguire dalla presa di consapevolezza altrui della propria malattia.

I giudizi negativi che si pensa di poter ricevere dagli altri per essersi contagiati, infatti, potrebbero essere fonte stessa di una sofferenza tale da vivere la possibilità del contagio come qualcosa di estremamente grave e invalidante, segno dell’importanza che si starebbe attribuendo in quel dato momento al giudizio di tali persone.

Spesso simili timori nascondono infatti la convinzione di non essere una persona apprezzabile e stimabile, o di esserlo nella misura in cui si fosse riconosciuti come tali dagli altri, aspetto quest’ultimo che spiegherebbe la grande importanza attribuita al giudizio esterno.

#2. PAURA DI PERDERE IL PROPRIO LAVORO

paura fallire covid

A spiegare l’ansia che si potrebbe star vivendo in questo periodo, motivo non meno importante di quello sopra analizzato potrebbe essere la ripercussione che la quarantena starebbe avendo sulla propria attività lavorativa.

Il lavoro è certamente una delle attività che più di tante altre è in grado di incidere nel nostro equilibrio emotivo, essendo infatti alla base della possibilità di soddisfare tanti altri bisogni per noi fondamentali: da quelli basilari di nutrimento e protezione, a quelli più avanzati di riconoscimento sociale ed autorealizzazione personale.

Non stupisce, pertanto, che eventi potenzialmente in grado di incidere in questo settore della nostra vita possono portarci a sperimentare una buona dose di ansia e nervosismo.

Va da sé che l’intensità dell’ansia che potremmo provare varierebbe in funzione dell’importanza che staremmo attribuendo a tale settore della nostra vita.

Persone sprovviste di un reddito in grado di sostenerle in questo periodo di forte restrizione economica sarebbero più facilmente inclini a immaginarsi scenari fortemente negativi per sé o le persone da loro economicamente dipendenti.

Un lavoratore che ha alle proprie spalle una famiglia a cui pensare è più probabile che, accanto all’ansia per le proprie condizioni di vita, avverta anche l’ansia aggiuntiva per le condizioni di vita delle persone che da lui dipenderebbero.

covid ansia

Allo stesso modo, persone che hanno deciso di sacrificare altri interessi per vedere realizzati i loro bisogni di auto-realizzazione personale potrebbero vivere con maggiore apprensione in questo periodo la possibilità di vedere sfumate le loro aspettative professionali.

Coloro che infatti hanno investito una parte consistente della loro vita a costruirsi un futuro lavorativo, potrebbero infatti vedere sommarsi, alla frustrazione derivante dall’attuale difficoltà lavorativa, anche quella derivante dall’insoddisfazione dei bisogni amicali e sentimentali che erano stati sacrificati in vista del raggiungimento di tali obiettivi professionali.

Ancora, l’ansia che si potrebbe vivere per le difficoltà lavorative attuali potrebbe chiamare in causa convinzioni implicite circa le proprie capacità personali (auto-efficacia).

Se infatti si ritenesse di essere riusciti ad acquisire il proprio incarico lavorativo più per fattori casuali che per capacità personali, l’eventualità di vedere compromesso il proprio impiego sarebbe vissuta come doppiamente allarmante, in quanto precludente tanto la posizione economica attuale, quanto quella futura.

In aggiunta, tali compromissioni nella sfera lavorativa potrebbero venire interpretate quale prova della propria supposta incapacità personale, andando ad alimentare scenari di impotenza fortemente scoraggianti e deprimenti.

abbattersi

Diverso discorso varrebbe invece per chi fosse solito giudicare il proprio valore personale (auto-stima) dai risultati raggiunti in ambito lavorativo.

La limitazione nella propria produttività, in tal caso, potrebbe attivare scenari allarmanti a motivo del ruolo imputato alla sfera lavorativa, quale luogo entro il quale esercitare capacità comportanti esiti ritenuti necessari per stimare se stessi.

#3. PAURA PER LE RIPERCUSSIONI SUI FIGLI

paura figli covid

In un momento in cui il futuro appare sempre più incerto, la preoccupazione che i  propri figli possano essere tra le persone più danneggiate dalla futura crisi economica si fa sempre più pressante e incisiva.

Sono questi pensieri normali che esprimono l’affetto che ci lega alle persone per noi più importanti.

Indipendentemente dalla condizione che starebbero vivendo attualmente i nostri figli, infatti, il pensiero che il loro futuro possa essere più negativo di quello che avevamo sperato per loro può alimentare vissuti di forte agitazione.

Va da sé che il contenuto di tali preoccupazioni varia in funzione dell’età dei figli che ognuno di noi potrebbe avere.

Come una madre premurosa teme che la chiusura delle scuole possa pregiudicare la buona formazione che vorrebbe invece per il proprio figlio, così il genitore ormai prossimo alla pensione teme che il figlio oramai fattosi adulto possa trovare grandi difficoltà nell’inserirsi nel mercato del lavoro che verrà.

Preoccupazioni legittime che, ciononostante, possono andare ad incidere ulteriormente sul disagio che già i nostri figli starebbero provando in questo periodo.

In che modo?

Per esempio portando ad interiorizzare un’idea di sé come persona incapace a far fronte alle normali avversità che la vita potrebbe porre lungo il cammino, o alimentando indirettamente fenomeni di dipendenza dalla famiglia d’origine, ritardando in tal modo la crescita e l’acquisizione di una propria autonomia di vita.

madre apprensiva

Di fondamentale importanza risulterà pertanto comprendere se la propria preoccupazione possa essere ben fondata, o se piuttosto riveli la difficoltà che noi per primi potremmo stare incontrando nel gestire il nostro disagio.

Non di rado, infatti, l’idea di essere un bravo genitore esprime un qualcosa di molto importante per la nostra auto-stima.

A seconda dell’importanza che si starebbe attribuendo a tale valore, pertanto, al normale e più che comprensibile timore per le condizioni dei propri figli potrebbe aggiungersi una preoccupazione aggiuntiva di poter essere visti dagli altri o da noi stessi come cattivi genitori, uno scenario spesso considerato inaccettabile o catastrofico.

<< Che razza di madre che sono! Sono un fallimento completo! >>

Sono queste preoccupazioni comuni di chi nella vita ha dato priorità alla famiglia e alla cura dei figli piuttosto che ad altri obiettivi di vita.

Iper-investire nel ruolo di genitore può così portare a vivere con una quota maggiore di ansia tutte le circostanze che potrebbero mettere in mostra i limiti del nostro agire, non per ultimi quelli derivanti dall’allentamento del controllo dei nostri figli.

#4. PAURA DI RIMANERE IN CASA DA SOLI

ansia solitudine

Rimanere soli in casa per lungo tempo può rappresentare un qualcosa di particolarmente stressante. Non in tutti i casi, tuttavia, questo accade.

Ci sono persone, ad esempio, che vivono con maggiore ansia l’idea di trovarsi in mezzo ad altre persone, in quanto timorose di venire giudicate negativamente per qualcosa che potrebbero dire o fare.

Altre persone, invece, vivono in modo stressante lo stare a stretto contatto con persone ritenute diverse da sé, a motivo del senso di costrizione che percepiscono nel doversi adeguare alle comuni prassi che la “buona educazione” suggerisce.

Vivere con disagio lo stare soli in casa esprime dunque un qualcosa che rivela una sorta di attitudine personale a vivere con maggiore o minore stress la compagnia di altre persone.

Ad esempio, sappiamo che, contrariamente a quanto capita a chi possiede un carattere introverso, persone più estroverse ed espansive reagiscono allo stress ricercando la presenza fisica o telefonica degli altri, al fine di distrarsi da quanto starebbe alimentando il loro stress.

Ancora, la presenza di forme di dipendenza affettiva da un amico, un familiare o un partner può rendere la solitudine un qualcosa di terribilmente angoscioso, in quanto rammentante l’idea di non avere quelle risorse o capacità personali per far fronte ad eventi fortemente negativi, quali ad esempio potrebbero essere quelli che caratterizzano malesseri di natura fisica e/o emotiva.

O ancora, la forte avversione alla noia e alle comuni routine che avverte chi presenta una marcata tendenza a ricercare sensazioni nuove ed intense può rendere lo stare reclusi in casa una vera e propria tortura.

In tutti questi casi, lo stare in compagnia unicamente di se stessi rende il periodo di quarantena pressoché insopportabile, esponendo infatti a vissuti particolarmente intensi di rabbia, nervosismo, apatia o di panico.

troppa ansia

Normale sarà dunque temere di poter proseguire il periodo di isolamento nella propria abitazione, come pure di poterlo affrontare nuovamente in futuro a seguito del riacutizzarsi del contagio.

Per quanto tali preoccupazioni possano essere ben comprensibili alla luce del filo logico fin qui presentato, non escludono di riuscire a trovare un modo efficace e realistico per ridurre l’ansia associata allo stare soli con se stessi.

La solitudine, infatti, è considerata nient’altro che lo stare in compagnia unicamente della propria persona, aspetto quest’ultimo che legittima il ritenere plausibile la sua gestione assumendo un atteggiamento meno critico e più tollerante verso quelle parti di sé che si starebbe facendo fatica a riconoscere e accettare.

Spesso possono essere esperienze emotive particolarmente intense quelle dalle quali ci si vorrebbe allontanare evadendo la sensazione di solitudine. La tristezza ne è un esempio.

La preoccupazione, in casi simili, esprimerebbe nient’altro che la scarsa conoscenza di vissuti interiori che da sempre si starebbe cercando di evitare, pena il rischio di conseguenze supposte catastrofiche o inaccettabili, quali l’esclusione sociale che si pensa possa conseguire al persistere di tali vissuti.

non riuscire a lasciarsi

Altre volte, invece, ciò dal quale ci si vorrebbe allontanare evadendo la solitudine è l’assenza di emozioni: la noia, per intenderci.

Giornate spese ad annoiarsi in casa verrebbero considerate un’occasione persa per potersi sentire nuovamente vivi e attivi.

Va da sé che tale perdita esprime un qualcosa di tanto più grave e minaccioso quanto più si ritiene di essere reduci da un periodo prolungato di disagio, o ancora se si ritenesse di avere poco tempo a disposizione per poter godere di istanti di grande gioia o felicità.

Spesso dietro a tale stato di intolleranza può risiedere dunque un disagio fisico o emotivo pregresso, quale può essere quello sperimentato da chi ha sconfitto un recente tumore o un problema depressivo, come pure un’idea di cagionevolezza non dissimile a quella che alimenta il timore ipocondriaco di contagio già descritto in precedenza.

#5. PAURA DI TORNARE ALLA VITA DI UN TEMPO

paura ripresa covid

Può sembrare paradossale, ma persino l’idea stessa di tornare a riprendere le normali attività di un tempo può accompagnarsi ad una buona dose di ansia.

In realtà non c’è da stupirsi; per due mesi siamo stati indotti da più fonti a ritenere l’eventualità del contagio un qualcosa da non prendere sottogamba, al punto da essere stati costretti ad un prolungato periodo di quarantena pur di fronteggiarne la diffusione.

Naturale dunque che ad un allentamento delle misure contenitive corrisponda un aumento della preoccupazione. Il virus, dopotutto, è ancora in circolazione.

Sapere razionalmente che l’introduzione dell’utilizzo di guanti e mascherine ha portato ad abbassare la curva del contagio non riesce di per sé a spegnere la forza emotiva con la quale potrebbero affiorare alla mente gli scenari negativi legati alle conseguenze di un contagio che fino ad ora si è cercato di arginare, e non con poca fatica.

Dopotutto, chi potrebbe rassicurarci del fatto che tali scenari non si realizzino effettivamente così come ce li stiamo immaginando?

La nostra mente non è ingenua. Tutt’altro.

Sa bene che allentare la guardia sarebbe estremamente più rischioso che non mantenersi in un costante stato di allerta, specie se le conseguenze previste fossero ritenute particolarmente gravi e minacciose per la propria salute fisica e psicologica.

Naturale dunque che il nostro organismo preferisca spendere qualche risorsa in più per sostenere questa agitazione piuttosto che allentare la presa e vedere con questo aumentati i rischi tanto temuti legati al possibile contagio.

Che cosa accade, tuttavia, quando tale scelta smette di essere la più vantaggiosa?

Può capitare che l’ansia che si starebbe vivendo in questo periodo fosse così impattante sulla nostra vita da portarci a chiederci se fosse realmente utile mantenerla.

Non riuscire più ad uscire di casa, pur sapendo di averne la possibilità, può infatti portarci a maturare l’idea di essere persone deboli, poco coraggiose o di scarso valore, dimenticandoci dei motivi alla base della nostra scelta di non uscire.

ansia sociale

Infatti, per quanto sia cosa risaputa che il virus continuerà a circolare per ancora diversi mesi, in molti si stanno sforzando di riprendere progressivamente le attività che svolgevano prima dell’avvento di questa pandemia.

Confrontarsi con costoro potrebbe dunque portarci di riflesso ad accrescere la percezione di gravità della nostra ansia, al punto da indurci a ritenerla un qualcosa di più grave di quanto in realtà potrebbe essere.

A nessuno, dopotutto, piace sentirsi diverso e problematico, specialmente quando a tale diversità si attribuisce una connotazione fortemente negativa.

Ne è un valido esempio la condizione di chi potrebbe star vivendo un’ansia ossessiva o ipocondriaca.

Il forte timore che si vive rispettivamente all’idea di poter contravvenire ad un importante principio morale (ansia ossessiva) o all’idea di percepire una spiacevole sensazione di cagionevolezza del proprio corpo (ansia ipocondriaca) potrebbe venire facilmente giudicato negativamente da parte degli altri.

Sono spesso tali giudizi ad alimentare fenomeni di stigma destinati ad accrescere la percezione di disagio di chi già starebbe affrontando una difficoltà emotiva.

Si potrebbe certo impegnarsi in una guerra personale, volta a dissuadere amici, familiari e parenti  dall’affibbiare etichette o nomignoli di cattivo gusto, benché spesso tale atteggiamento alimenti l’importanza che si starebbe attribuendo al giudizio degli altri.

Più utile, nella maggior parte dei casi, appare invece assumere un atteggiamento più comprensivo di se stessi e dei propri bisogni.

COME POTREMMO GESTIRE QUEST’ANSIA?

ansia covid rilassarsi

Una domanda questa che nasconde il reale problema che staremmo vivendo.

Se infatti l’ansia fosse un qualcosa di assolutamente normale ed anzi funzionale alla nostra sopravvivenza, così come è stato descritto sopra, perché si dovrebbe avvertire il bisogno di gestirla?

Il motivo è spesso da rintracciarsi negli sforzi che tuttora si starebbero compiendo per allontanare da sé gli scenari catastrofici e inaccettabili che si vorrebbe invece scongiurare.

Chi nutre il forte bisogno di controllare al meglio la propria ansia, infatti, assume un atteggiamento di completo rifiuto di queste esperienze. Sarebbero dunque le azioni che già si starebbero compiendo ad impedire ad una normale reazione emotiva di ridursi in modo naturale e spontaneo.

L’estrema gravità che si starebbe attribuendo agli scenari negativi venuti in mente, unita ad un atteggiamento di completa inaccettabilità di simili esperienze, renderebbe così l’ansia un’esperienza estremamente più intensa e frequente, oltre che difficile da sopportare.

Certo, esistono diverse tecniche di rilassamento a cui ci si potrebbe rifare per vedere così ridotta  l’esperienza emotiva dell’ansia.

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Tuttavia, qualsivoglia procedura che potrebbe essere utilizzata andrebbe ad alimentare quello stesso atteggiamento che starebbe mantenendo il vero problema.

Possiamo prendere un antidolorifico per ridurre il dolore per un dente cariato, ma fino a quando non ci si rivolgerà dal dentista per la sua sanificazione, il problema continuerà a persistere.

Discorso analogo vale anche per le problematiche d’ansia. Per quante tecniche di rilassamento si potrebbe imparare ad utilizzare, nessuna di queste riuscirà a cambiare l’atteggiamento mentale di fondo che starebbe alimentando la propria ansia.

Questo è il motivo per il quale appare forse poco utile offrire guide pratiche fai da te per imparare specifiche tecniche per ridurre l’ansia.

In assenza di una chiara comprensione del momento in cui avvalersi di tale tecniche e del modo con cui utilizzarle, gli effetti di rilassamento attesi dalla pratica di una di queste tecniche agirebbero a completo discapito della persona, in quanto alimentanti nel lungo periodo la percezione di gravità e intollerabilità degli scenari ansiosi.

Più utile, al contrario, si rivelerebbe rivolgersi ad un esperto per meglio comprendere quali fattori stessero mantenendo il proprio problema di ansia.

Sfortunatamente, il timore del possibile giudizio negativo, che gli altri potrebbero attribuire nel venire a conoscenza del problema che si starebbe vivendo, esorta molte persone a ricercare strategie di auto-aiuto che, come è stato descritto, finiscono spesso con l’aggravare la propria condizione psico-emotiva.

Altre volte, invece, è lo stesso atteggiamento che starebbe mantenendo il problema a far vivere l’eventualità di rivolgersi ad un esperto come un qualcosa di disdicevole e imbarazzante.

L’idea di chiedere aiuto, infatti, viene spesso vissuta con ulteriore ansia, a motivo della conferma che così si avrebbe dell’idea di essere quella stessa persona debole e problematica che si vorrebbe per contro sfatare.

Per questo molte persone preferiscono dapprima impegnarsi nella risoluzione del proprio problema emotivo ricercando dapprincipio una soluzione in modo autonomo.

Provano a sfidare se stessi, compiendo sforzi innumerevoli pur di non ricercare un supporto che rivelerebbe loro di essere esattamente quel tipo di persona che temono di essere.

Nel loro immaginario, avvalersi dei servizi di un esperto esprimerebbe infatti l’ultima risorsa a disposizione per far fronte al proprio problema, come il jolly da giocare sul finire di una partita che si vuole dapprima provare a vincere ricorrendo soltanto sulle proprie forze.

Tale logica nasce spesso da un errore di fondo: il credere che l’avvalersi della conoscenza di uno esperto esuli dal riuscire a risolvere i propri problemi in modo autonomo.

Al contrario, chi svolge questa professione sa bene che il potere curativo insito nel proprio ruolo è pressocché nullo rispetto a quello di cui già dispone la persona stessa.

Non a caso si è soliti ritenere che il lavoro psicologico consista nello sforzo attivo di far diventare la persona terapeuta di se stessa.

Tale concezione ha il pregio di porre nuovamente la persona al centro del suo processo di cambiamento, come pure quella di circoscrivere le competenze dello specialista alle conoscenze teoriche e tecniche che gli sono utili per aiutare la persona ad auto-aiutarsi.

CONCLUSIONI

In questo periodo diversi pensieri negativi potrebbero portarci a vivere la nostra quotidianità con grande preoccupazione.

Ne sono un valido esempio l’idea di poterci contagiare, di perdere il lavoro, di vedere il futuro dei nostri figli compromesso, di rimanere ancora a lungo in casa o di riprendere la vita di un tempo.

Eppure l’ansia è una condizione normale, in quanto utile a prepararci al meglio per affrontare tali situazioni di pericolo.

Delle volte, tuttavia, specifici fattori personali ed ambientali possono portarci a vivere reazioni d’ansia particolarmente intense, frequenti e ostacolanti il raggiungimento dei nostri obiettivi.

In simili casi, è utile comprendere che cosa starebbe mantenendo elevati i livelli di ansia, anche avvalendosi dei consigli di un esperto attraverso una consulenza  a distanza.

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Dr. Alessio Congiu - Psicologo a Verona

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L’ANSIA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

ansia coronavirus

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Fa quasi impressione riferirsi a ciò che stiamo vivendo come ad un periodo che andrà ad occupare una parte specifica della storia dell’uomo: il tempo della pandemia da coronavirus.

Nei giorni che contraddistinsero le grandi guerre, le persone sentivano di stare vivendo un periodo pressoché unico nel suo genere, perché unici erano i vissuti che provavano per gli eventi sconvolgenti che il mondo stava affrontando.

Non c’erano social o dirette televisive a ricordare la drammaticità di quanto stava accadendo. Lo si viveva nell’ascoltare il proprio corpo rispondere al passaggio degli aerei, all’eco delle bombe, quelle che imprimevano nelle città le stesse cicatrici di cui oggi andiamo alla ricerca quando viaggiamo.

Chi non ha toccato con mano quelle esperienze può solo immaginare cosa allora provava la gente nell’uscire per strada, nel fare la spesa, nell’andare al lavoro.

Allo stesso modo, il periodo che stiamo vivendo sarà destinato a riempire le pagine dei libri che un domani verranno letti e studiati da generazioni distanti temporalmente dai vissuti che oggi stiamo vivendo; vissuti che raccontano di qualcosa di questo tempo, ma anche qualcosa di noi stessi, della nostra persona, della nostra storia.

Questo articolo vuole soffermarsi proprio su alcuni di questi vissuti, perché sia possibile scoprire dietro il comune disagio che starebbe contraddistinguendo questo periodo un qualcosa di più intimo e personale.

PERCHÉ  PARLARE DI ANSIA?

don't panic

Si parla di ansia perché è il sentimento che più di ogni altro appare esplicativo del periodo che stiamo affrontando, un periodo in cui viene improvvisamente meno la possibilità di prospettarsi chiaramente quello che sarà il futuro, portandoci a rappresentarci nella nostra mente gli scenari peggiori che potremmo mai immaginarci.

Come un bambino proietta nel buio della notte le paure che albergano nella sua giovane mente, così l’adulto si trova a dipingere gli scenari peggiori al vacillare di ogni sua certezza.

L’ansia d’altronde è proprio questo: un goffo tentativo della nostra psiche di prospettarsi quello che sarà il futuro più immediato, al fine di farci arrivare sufficientemente pronti alla sfida che si crede di dover fronteggiare.

Una forma di preparazione fisica e psicologica a quanto si teme, utile per limitare al massimo l’entità delle conseguenze negative legate all’esposizione con l’evento temuto; come una sorta di illusione di controllo del futuro, per prevenire ogni possibile minaccia alla nostra salute fisica e psicologica.

Un qualcosa di estremamente utile è dunque l’ansia, a patto che gli scenari da essa rappresentati siano quanto meno simili a quelli che potrebbero realmente accadere e che si compiano tutte le operazioni utili a prevenire il rischio ipotizzato.

In caso contrario, infatti, ben poca utilità vi sarebbe da parte del nostro organismo nel mobilitare tutte quelle risorse psico-fisiologiche che occorrerebbero al nostro corpo per mantenersi in vigile attesa di quanto temuto.

A poco servirebbe infatti far aumentare il battito del cuore, la respirazione e la sudorazione a seguito del timore di aver contratto il virus se non sussistessero reali motivi a rendere ragione della paura del contagio.

Ancor meno servirebbe vivere ansia se le energie che questa richiederebbe per mantenerci vigili e attenti non fossero utilizzate efficacemente per prevenire l’eventualità del contagio rispettando le misure cautelative proposte dalle fonti più autorevoli.

coronavirus raccomandazioni

In tutti questi casi, infatti, da normale reazione che l’organismo attiverebbe per segnalarci la presenza di qualcosa che non starebbe andando come vorremmo, l’ansia diventerebbe qualcosa che andrebbe a limitare la nostra giornata, portandoci a vivere una sensazione spiacevole di costrizione fisica e psicologica, di demoralizzazione, di sfiducia in noi stessi.

QUANDO L’ANSIA DIVENTA UN PROBLEMA?

ansia verona

Essere preoccupati che con l’allentamento delle misure contenitive si possa assistere ad una drastica crescita del numero di contagi è un conto, smettere di dormire la sera per tale ragione è un altro.

L’intensità dell’ansia esprime dunque uno dei criteri a cui  gli psicologi si rifanno per valutare se tale reazione fosse realmente “eccessiva“. Vero è, tuttavia, che non tutti hanno la stessa opinione su quando l’ansia possa essere considerata tale.

Per chi si trovasse in prima linea a fronteggiare le conseguenze del diffondersi del coronavirus la percezione di gravità data dall’eventualità del contagio potrebbe essere verosimilmente superiore a quella di chi invece si stesse limitando a lavorare da casa.

Allo stesso modo, persone che a seguito dell’infezione da coronavirus hanno perso un loro caro verosimilmente potrebbero vivere l’idea che altri possano nuovamente contagiarsi con livelli più intensi di ansia rispetto a chi invece non avesse subito alcun tipo di perdita affettiva.

Eventi di vita particolarmente stressanti potrebbero dunque sensibilizzarci al punto da vivere l’eventualità del loro ripresentarsi con una quota di ansia certamente superiore a quella che potrebbe vivere chi invece non avesse mai avuto un tal genere di esperienze.

Il criterio di intensità appena descritto non è tuttavia l’unico a cui è possibile rifarsi per valutare se l’ansia che potremmo stare vivendo possa essere considerata a buon diritto come problematica.

Vivere un’ansia particolarmente intensa a poche ore di distanza da un accertamento medico non rappresenta ovviamente una condizione analoga a quella che potrebbe vivere chi si trovasse a sperimentare simili livelli di ansia per interi giorni, settimane, mesi, o addirittura anni.

Abbiamo dunque la necessità di rifarci almeno ad un altro importante criterio, quello relativo alla frequenza con la quale l’ansia potrebbe star comparendo nella nostra vita.

Va da sé che, tanto più frequentemente ci trovassimo a stretto contatto con questo vissuto, quanto più problematica potrebbe essere considerata la nostra ansia.

In casi simili, l’eccessiva intensità e frequenza dell’ansia sarebbe valutabile confrontando i punteggi riportati in alcuni semplici questionari sull’ansia con quelli ottenuti dalla maggior parte delle persone sottoposte a tali strumenti di valutazione psicologica.

valutare ansia

Per punteggi che si discostassero significativamente da quelli ottenuti dal campione di riferimento con il quale avverrebbe il confronto, sarebbe possibile considerare i livelli di ansia che si starebbero vivendo come un problema oggettivo.

Se tuttavia ci limitassimo a ritenere realmente problematica la nostra ansia chiamando in causa esclusivamente i criteri sopra citati, ci precluderemmo di considerare l’aspetto che più di ogni altro permetterebbe un tal genere di valutazione: il nostro giudizio personale. Facciamo un esempio.

Francesca è una donna di 45 anni, sposata e con due figli, Giorgio e Camilla. Da 15 anni ha aperto un piccolo negozio in centro, poco al di fuori del paesino in cui vive insieme alla sua famiglia.

Solitamente Francesca preferisce andare a lavoro in treno, per evitare lo stress della guida e le lunghe attese prima di trovare parcheggio nei pressi nel proprio negozio.

Con la ripresa della propria attività, tuttavia, Francesca è spaventata all’idea di contrarre il virus andando a lavoro in treno. Teme infatti che eventuali assembramenti possano mettere a rischio la sua salute e di riflesso anche quella dei propri cari.

Francesca sa che andare in treno equivarrebbe a vivere una forte ansia, che si presenterebbe tale e quale ogni giorno, andando e tornando dal proprio negozio.

È per questo che ha deciso che, per tutto il tempo che durerà la pandemia, si recherà a lavoro in macchina, uscendo di casa un po’ prima al mattino per evitare l’eventuale traffico della città.

Possiamo considerare l’ansia di Francesca problematica?

ansia patologica

Ora, se ci limitassimo esclusivamente ai criteri di intensità e frequenza sopra descritti, con grande probabilità potremmo ritenere tale ansia oggettivamente problematica.

Sappiamo infatti che tante persone di questi tempi utilizzano i mezzi di trasporto pubblici per recarsi a lavoro, senza per questo farsi condizionare eccessivamente dall’eventuale ansia che potrebbero vivere.

Al contrario, tale ansia sarebbe loro di aiuto per seguire in modo più rigoroso le procedure di distanziamento sociale e per utilizzare i dispositivi di protezione individuale tuttora previsti per ogni attività svolta al di fuori del proprio domicilio.

Perché dunque non dovremmo considerare problematica l’ansia che Francesca  starebbe vivendo per gli spostamenti?

Semplice, perché per Francesca non costituisce un reale problema, essendo infatti riuscita a trovare una valida alternativa per poter comunque evitare di vedere compromessa la propria attività lavorativa.

Francesca sa che la sua ansia è molto intensa e sa che la vivrebbe frequentemente durante la settimana, ma non la ritiene personalmente problematica, perché non impatta in misura significativa nella sua vita.

mascherina macchina

Il criterio di rilevanza personale, dunque, mostra come, affinché sia possibile valutare la propria ansia come problematica, occorre che tale vissuto rappresenti in primis un problema per la persona che lo starebbe vivendo.

Al contrario, laddove tale criterio non venisse soddisfatto, potremmo forse considerare la reazione emotiva oggettivamente eccessiva, in quanto più intensa e frequente di quella che potrebbero vivere la maggior parte delle persone poste nelle stesse condizioni, ma non per questo un reale problema, essendo infatti percepita soggettivamente come non problematica.

Il criterio di rilevanza personale ci consente dunque di comprendere un po’ più da vicino la reale differenza che intercorre tra i disturbi medici e quelli psicologici: mentre i primi esistono indipendentemente dal giudizio che la persona potrebbe offrire circa il proprio stato di salute (es., diabete), i secondi hanno luogo principalmente se riconosciuti come fortemente limitanti dalla persona stessa (es., problema d’ansia).

L’ansia che potremmo star vivendo in questo periodo, dunque, sarebbe problematica nella misura in cui esprimesse per noi un problema reale, in quanto impattante negativamente nelle attività capaci di darci piacere e benessere.

Tale aspetto non è di secondaria importanza, in quanto rimarca un aspetto spesso trascurato quando si parla di problematiche psicologiche, ossia il ruolo centrale che la persona ha sul processo di valutazione e su quello di guarigione.

CHE ANSIA POTREMMO VIVERE IN QUESTO PERIODO?

#1. PAURA DI CONTAGIARSI

paura contagio

In un periodo delicato come è quello che stiamo vivendo, è più che comprensibile che si possa essere preoccupati all’idea di contrarre il coronavirus.

La possibilità che a seguito di tale infezione si possa incorrere in problematiche mediche gravi e invalidanti è d’altronde reale e visibile agli occhi di tutti.

Abbiamo ben impresse nella nostra mente le immagini dei camion militari che da Bergamo portavano nelle città limitrofe le salme dei deceduti per consentirne la cremazione.

Allo stesso modo, risulta altrettanto comprensibile la forte preoccupazione che potremmo vivere all’idea di contrarre il virus e infettare a nostra volta persone a noi particolarmente care.

È notizia risaputa, infatti, che negli ultimi tempi il diffondersi del virus stia avvenendo principalmente all’interno delle proprie mura domestiche, aspetto quest’ultimo che può spingerci a vivere con livelli diversi di preoccupazione le normali relazioni con le persone con cui staremmo vivendo.

Provare ansia all’idea di contagiarsi o di contagiare un’altra persona è dunque un qualcosa di assolutamente normale oltre che di particolarmente utile in questo momento.

È proprio grazie a simili preoccupazioni, infatti, che il nostro organismo riesce a darci la giusta motivazione per seguire tutta quella serie di precauzioni che le fonti più autorevoli ci invitano ad adottare per limitare la probabilità di acquisire l’infezione tanto temuta, contribuendo in tal modo a non diffondere il contagio.

prevenzione covid

Se dunque provare ansia all’idea di contrarre il virus è un fenomeno assolutamente normale e salutare, la questione attorno a cui ci si potrebbe interrogare sarebbe piuttosto quella di definire quando una simile preoccupazione potrebbe dirsi eccessiva.

Nelle righe precedenti è stato introdotto il discorso che vede nella gravità dell’evento temuto uno dei criteri per mezzo dei quali compiere tal tipo di valutazione.

In merito al tema dell’infezione da coronavirus, le diverse fonti scientifiche hanno da sempre offerto pareri discordanti circa tale fattore, spesso in linea con il livello di conoscenza di cui, di volta in volta, si disponeva di questo agente virale.

È bene sottolineare, tuttavia, come la gravità a cui ci si starebbe qui riferendo per valutare il grado di sproporzionalità dei propri livelli d’ansia poco avrebbe a che fare, in effetti, con il valore oggettivo indicato dagli studi che finora sono stati condotti.

Non a caso si potrebbe essere tra i primi a ritenere la propria ansia eccessiva rispetto a quella che si riterrebbe di dover provare, dati i tassi di mortalità associati a questa infezione.

Tale consapevolezza, infatti, è più spesso associata a quella spiacevole autocritica a cui ci si potrebbe stare sottoponendo nel confrontarsi con gli altri o con l’ideale di se stessi, piuttosto che al ridimensionamento dell’ansia che si starebbe vivendo.

<< Non dovrei vivere così ansia! Sono proprio una persona debole! >>

Più plausibile, invece, la tesi che vedrebbe le persone operare una stima soggettiva della gravità dell’ipotetico contagio.

Affermare tale ipotesi equivale dunque a riconoscere come le persone siano tendenzialmente più spaventate dal modo con cui si rappresentano soggettivamente le conseguenze del contagio, piuttosto che a quelle più oggettive che potrebbero realisticamente accadere.

Tra i più comuni scenari che allarmano maggiormente le persone si trovano:

  • il profondo dolore fisico e il decadimento del proprio corpo, che contraddistingue l’ansia ipocondriaca legata al timore delle malattie;
  • la morte per soffocamento o arresto cardiaco, o la perdita di controllo e impazzimento, tipica dell’ansia legata al timore dell’attacco di panico;
  • la responsabilità personale per il contagio proprio o altrui, caratterizzante l’ansia ossessiva legata al timore della colpa;
  • l’etichettamento sociale conseguente alla presa di consapevolezza degli altri della propria infezione, insita nell’ansia sociale legata al timore del giudizio altrui.

Ad un’attenta analisi, infatti, tali immaginari negativi rivelano ciò che per noi più conta nel momento esatto in cui viviamo ansia.

La paura del contagio che contraddistingue l’ansia ipocondriaca, ad esempio, rivela il forte timore di essere una persona costituzionalmente debole, fragile e insicura, rivelando per contro il desiderio opposto di essere una persona forte, invulnerabile e sicura di sé.

Per tale ragione l’idea di contagiarsi sarebbe vissuta da molte persone con grande preoccupazione, in quanto confermante il proprio più grande timore: essere una persona fisicamente cagionevole, e come tale suscettibile di andare incontro a malattie comportanti un profondo dolore fisico e il decadimento del proprio corpo.

paura malattie

Diversamente, la paura del contagio che vive chi si prospetta scenari di morte o di perdita del controllo rivela la forte avversione per molte delle sensazioni che caratterizzano gli stati più intensi di paura, come ad esempio il rapido incremento del battito cardiaco o la sensazione di sbandamento e svenimento che caratterizza l’attacco di panico.

Non la paura delle conseguenze oggettive del coronavirus, dunque, mai sperimentate prima, quanto piuttosto l’ingente preoccupazione di rivivere quelle stesse sensazioni che in passato hanno portato ad immaginarsi scenari catastrofici e intollerabili, quali la morte per infarto o asfissia, o la perdita della capacità di agire sulla realtà secondo la propria volontà.

depersonalizzazione

Legata ad una concezione moralistica sarebbe invece la preoccupazione del contagio di chi vive un’ansia ossessiva.

In casi simili, infatti, alla normale preoccupazione per le conseguenze fisiche della malattia si sommerebbe una preoccupazione di natura squisitamente etica: il timore di stare contravvenendo al dovere morale di prevenire ogni possibile contagio per se stessi e i propri cari, pena il rischio di essere direttamente responsabili delle proprie o altrui sciagure.

Sotto questa luce la preoccupazione del contagio rivelerebbe in realtà il forte timore di essere considerati dagli altri o da stessi come persone indegne o moralmente riprovevoli di colpa, andando così a ledere l’immagine di persona retta e responsabile che si vorrebbe invece difendere.

venire giudicati

Ultima, ma non per importanza, la preoccupazione del contagio che vive chi sperimenta l’ansia sociale legata al timore di venire giudicati negativamente dagli altri.

La possibilità del contagio spaventerebbe in simili circostanze a motivo della perdita di status che si crede possa conseguire dalla presa di consapevolezza altrui della propria malattia.

I giudizi negativi che si pensa di poter ricevere dagli altri per essersi contagiati, infatti, potrebbero essere fonte stessa di una sofferenza tale da vivere la possibilità del contagio come qualcosa di estremamente grave e invalidante, segno dell’importanza che si starebbe attribuendo in quel dato momento al giudizio di tali persone.

Spesso simili timori nascondono infatti la convinzione di non essere una persona apprezzabile e stimabile, o di esserlo nella misura in cui si fosse riconosciuti come tali dagli altri, aspetto quest’ultimo che spiegherebbe la grande importanza attribuita al giudizio esterno.

#2. PAURA DI PERDERE IL PROPRIO LAVORO

paura fallire covid

A spiegare l’ansia che si potrebbe star vivendo in questo periodo, motivo non meno importante di quello sopra analizzato potrebbe essere la ripercussione che la quarantena starebbe avendo sulla propria attività lavorativa.

Il lavoro è certamente una delle attività che più di tante altre è in grado di incidere nel nostro equilibrio emotivo, essendo infatti alla base della possibilità di soddisfare tanti altri bisogni per noi fondamentali: da quelli basilari di nutrimento e protezione, a quelli più avanzati di riconoscimento sociale ed autorealizzazione personale.

Non stupisce, pertanto, che eventi potenzialmente in grado di incidere in questo settore della nostra vita possono portarci a sperimentare una buona dose di ansia e nervosismo.

Va da sé che l’intensità dell’ansia che potremmo provare varierebbe in funzione dell’importanza che staremmo attribuendo a tale settore della nostra vita.

Persone sprovviste di un reddito in grado di sostenerle in questo periodo di forte restrizione economica sarebbero più facilmente inclini a immaginarsi scenari fortemente negativi per sé o le persone da loro economicamente dipendenti.

Un lavoratore che ha alle proprie spalle una famiglia a cui pensare è più probabile che, accanto all’ansia per le proprie condizioni di vita, avverta anche l’ansia aggiuntiva per le condizioni di vita delle persone che da lui dipenderebbero.

covid ansia

Allo stesso modo, persone che hanno deciso di sacrificare altri interessi per vedere realizzati i loro bisogni di auto-realizzazione personale potrebbero vivere con maggiore apprensione in questo periodo la possibilità di vedere sfumate le loro aspettative professionali.

Coloro che infatti hanno investito una parte consistente della loro vita a costruirsi un futuro lavorativo, potrebbero infatti vedere sommarsi, alla frustrazione derivante dall’attuale difficoltà lavorativa, anche quella derivante dall’insoddisfazione dei bisogni amicali e sentimentali che erano stati sacrificati in vista del raggiungimento di tali obiettivi professionali.

Ancora, l’ansia che si potrebbe vivere per le difficoltà lavorative attuali potrebbe chiamare in causa convinzioni implicite circa le proprie capacità personali (auto-efficacia).

Se infatti si ritenesse di essere riusciti ad acquisire il proprio incarico lavorativo più per fattori casuali che per capacità personali, l’eventualità di vedere compromesso il proprio impiego sarebbe vissuta come doppiamente allarmante, in quanto precludente tanto la posizione economica attuale, quanto quella futura.

In aggiunta, tali compromissioni nella sfera lavorativa potrebbero venire interpretate quale prova della propria supposta incapacità personale, andando ad alimentare scenari di impotenza fortemente scoraggianti e deprimenti.

abbattersi

Diverso discorso varrebbe invece per chi fosse solito giudicare il proprio valore personale (auto-stima) dai risultati raggiunti in ambito lavorativo.

La limitazione nella propria produttività, in tal caso, potrebbe attivare scenari allarmanti a motivo del ruolo imputato alla sfera lavorativa, quale luogo entro il quale esercitare capacità comportanti esiti ritenuti necessari per stimare se stessi.

#3. PAURA PER LE RIPERCUSSIONI SUI FIGLI

paura figli covid

In un momento in cui il futuro appare sempre più incerto, la preoccupazione che i  propri figli possano essere tra le persone più danneggiate dalla futura crisi economica si fa sempre più pressante e incisiva.

Sono questi pensieri normali che esprimono l’affetto che ci lega alle persone per noi più importanti.

Indipendentemente dalla condizione che starebbero vivendo attualmente i nostri figli, infatti, il pensiero che il loro futuro possa essere più negativo di quello che avevamo sperato per loro può alimentare vissuti di forte agitazione.

Va da sé che il contenuto di tali preoccupazioni varia in funzione dell’età dei figli che ognuno di noi potrebbe avere.

Come una madre premurosa teme che la chiusura delle scuole possa pregiudicare la buona formazione che vorrebbe invece per il proprio figlio, così il genitore ormai prossimo alla pensione teme che il figlio oramai fattosi adulto possa trovare grandi difficoltà nell’inserirsi nel mercato del lavoro che verrà.

Preoccupazioni legittime che, ciononostante, possono andare ad incidere ulteriormente sul disagio che già i nostri figli starebbero provando in questo periodo.

In che modo?

Per esempio portando ad interiorizzare un’idea di sé come persona incapace a far fronte alle normali avversità che la vita potrebbe porre lungo il cammino, o alimentando indirettamente fenomeni di dipendenza dalla famiglia d’origine, ritardando in tal modo la crescita e l’acquisizione di una propria autonomia di vita.

madre apprensiva

Di fondamentale importanza risulterà pertanto comprendere se la propria preoccupazione possa essere ben fondata, o se piuttosto riveli la difficoltà che noi per primi potremmo stare incontrando nel gestire il nostro disagio.

Non di rado, infatti, l’idea di essere un bravo genitore esprime un qualcosa di molto importante per la nostra auto-stima.

A seconda dell’importanza che si starebbe attribuendo a tale valore, pertanto, al normale e più che comprensibile timore per le condizioni dei propri figli potrebbe aggiungersi una preoccupazione aggiuntiva di poter essere visti dagli altri o da noi stessi come cattivi genitori, uno scenario spesso considerato inaccettabile o catastrofico.

<< Che razza di madre che sono! Sono un fallimento completo! >>

Sono queste preoccupazioni comuni di chi nella vita ha dato priorità alla famiglia e alla cura dei figli piuttosto che ad altri obiettivi di vita.

Iper-investire nel ruolo di genitore può così portare a vivere con una quota maggiore di ansia tutte le circostanze che potrebbero mettere in mostra i limiti del nostro agire, non per ultimi quelli derivanti dall’allentamento del controllo dei nostri figli.

#4. PAURA DI RIMANERE IN CASA DA SOLI

ansia solitudine

Rimanere soli in casa per lungo tempo può rappresentare un qualcosa di particolarmente stressante. Non in tutti i casi, tuttavia, questo accade.

Ci sono persone, ad esempio, che vivono con maggiore ansia l’idea di trovarsi in mezzo ad altre persone, in quanto timorose di venire giudicate negativamente per qualcosa che potrebbero dire o fare.

Altre persone, invece, vivono in modo stressante lo stare a stretto contatto con persone ritenute diverse da sé, a motivo del senso di costrizione che percepiscono nel doversi adeguare alle comuni prassi che la “buona educazione” suggerisce.

Vivere con disagio lo stare soli in casa esprime dunque un qualcosa che rivela una sorta di attitudine personale a vivere con maggiore o minore stress la compagnia di altre persone.

Ad esempio, sappiamo che, contrariamente a quanto capita a chi possiede un carattere introverso, persone più estroverse ed espansive reagiscono allo stress ricercando la presenza fisica o telefonica degli altri, al fine di distrarsi da quanto starebbe alimentando il loro stress.

Ancora, la presenza di forme di dipendenza affettiva da un amico, un familiare o un partner può rendere la solitudine un qualcosa di terribilmente angoscioso, in quanto rammentante l’idea di non avere quelle risorse o capacità personali per far fronte ad eventi fortemente negativi, quali ad esempio potrebbero essere quelli che caratterizzano malesseri di natura fisica e/o emotiva.

O ancora, la forte avversione alla noia e alle comuni routine che avverte chi presenta una marcata tendenza a ricercare sensazioni nuove ed intense può rendere lo stare reclusi in casa una vera e propria tortura.

In tutti questi casi, lo stare in compagnia unicamente di se stessi rende il periodo di quarantena pressoché insopportabile, esponendo infatti a vissuti particolarmente intensi di rabbia, nervosismo, apatia o di panico.

troppa ansia

Normale sarà dunque temere di poter proseguire il periodo di isolamento nella propria abitazione, come pure di poterlo affrontare nuovamente in futuro a seguito del riacutizzarsi del contagio.

Per quanto tali preoccupazioni possano essere ben comprensibili alla luce del filo logico fin qui presentato, non escludono di riuscire a trovare un modo efficace e realistico per ridurre l’ansia associata allo stare soli con se stessi.

La solitudine, infatti, è considerata nient’altro che lo stare in compagnia unicamente della propria persona, aspetto quest’ultimo che legittima il ritenere plausibile la sua gestione assumendo un atteggiamento meno critico e più tollerante verso quelle parti di sé che si starebbe facendo fatica a riconoscere e accettare.

Spesso possono essere esperienze emotive particolarmente intense quelle dalle quali ci si vorrebbe allontanare evadendo la sensazione di solitudine. La tristezza ne è un esempio.

La preoccupazione, in casi simili, esprimerebbe nient’altro che la scarsa conoscenza di vissuti interiori che da sempre si starebbe cercando di evitare, pena il rischio di conseguenze supposte catastrofiche o inaccettabili, quali l’esclusione sociale che si pensa possa conseguire al persistere di tali vissuti.

fingere di essere felici

Altre volte, invece, ciò dal quale ci si vorrebbe allontanare evadendo la solitudine è l’assenza di emozioni: la noia, per intenderci.

Giornate spese ad annoiarsi in casa verrebbero considerate un’occasione persa per potersi sentire nuovamente vivi e attivi.

Va da sé che tale perdita esprime un qualcosa di tanto più grave e minaccioso quanto più si ritiene di essere reduci da un periodo prolungato di disagio, o ancora se si ritenesse di avere poco tempo a disposizione per poter godere di istanti di grande gioia o felicità.

Spesso dietro a tale stato di intolleranza può risiedere dunque un disagio fisico o emotivo pregresso, quale può essere quello sperimentato da chi ha sconfitto un recente tumore o un problema depressivo, come pure un’idea di cagionevolezza non dissimile a quella che alimenta il timore ipocondriaco di contagio già descritto in precedenza.

#5. PAURA DI TORNARE ALLA VITA DI UN TEMPO

paura ripresa covid

Può sembrare paradossale, ma persino l’idea stessa di tornare a riprendere le normali attività di un tempo può accompagnarsi ad una buona dose di ansia.

In realtà non c’è da stupirsi; per due mesi siamo stati indotti da più fonti a ritenere l’eventualità del contagio un qualcosa da non prendere sottogamba, al punto da essere stati costretti ad un prolungato periodo di quarantena pur di fronteggiarne la diffusione.

Naturale dunque che ad un allentamento delle misure contenitive corrisponda un aumento della preoccupazione. Il virus, dopotutto, è ancora in circolazione.

Sapere razionalmente che l’introduzione dell’utilizzo di guanti e mascherine ha portato ad abbassare la curva del contagio non riesce di per sé a spegnere la forza emotiva con la quale potrebbero affiorare alla mente gli scenari negativi legati alle conseguenze di un contagio che fino ad ora si è cercato di arginare, e non con poca fatica.

Dopotutto, chi potrebbe rassicurarci del fatto che tali scenari non si realizzino effettivamente così come ce li stiamo immaginando?

La nostra mente non è ingenua. Tutt’altro.

Sa bene che allentare la guardia sarebbe estremamente più rischioso che non mantenersi in un costante stato di allerta, specie se le conseguenze previste fossero ritenute particolarmente gravi e minacciose per la propria salute fisica e psicologica.

Naturale dunque che il nostro organismo preferisca spendere qualche risorsa in più per sostenere questa agitazione piuttosto che allentare la presa e vedere con questo aumentati i rischi tanto temuti legati al possibile contagio.

Che cosa accade, tuttavia, quando tale scelta smette di essere la più vantaggiosa?

Può capitare che l’ansia che si starebbe vivendo in questo periodo fosse così impattante sulla nostra vita da portarci a chiederci se fosse realmente utile mantenerla.

Non riuscire più ad uscire di casa, pur sapendo di averne la possibilità, può infatti portarci a maturare l’idea di essere persone deboli, poco coraggiose o di scarso valore, dimenticandoci dei motivi alla base della nostra scelta di non uscire.

ansia sociale

Infatti, per quanto sia cosa risaputa che il virus continuerà a circolare per ancora diversi mesi, in molti si stanno sforzando di riprendere progressivamente le attività che svolgevano prima dell’avvento di questa pandemia.

Confrontarsi con costoro potrebbe dunque portarci di riflesso ad accrescere la percezione di gravità della nostra ansia, al punto da indurci a ritenerla un qualcosa di più grave di quanto in realtà potrebbe essere.

A nessuno, dopotutto, piace sentirsi diverso e problematico, specialmente quando a tale diversità si attribuisce una connotazione fortemente negativa.

Ne è un valido esempio la condizione di chi potrebbe star vivendo un’ansia ossessiva o ipocondriaca.

Il forte timore che si vive rispettivamente all’idea di poter contravvenire ad un importante principio morale (ansia ossessiva) o all’idea di percepire una spiacevole sensazione di cagionevolezza del proprio corpo (ansia ipocondriaca) potrebbe venire facilmente giudicato negativamente da parte degli altri.

Sono spesso tali giudizi ad alimentare fenomeni di stigma destinati ad accrescere la percezione di disagio di chi già starebbe affrontando una difficoltà emotiva.

Si potrebbe certo impegnarsi in una guerra personale, volta a dissuadere amici, familiari e parenti  dall’affibbiare etichette o nomignoli di cattivo gusto, benché spesso tale atteggiamento alimenti l’importanza che si starebbe attribuendo al giudizio degli altri.

Più utile, nella maggior parte dei casi, appare invece assumere un atteggiamento più comprensivo di se stessi e dei propri bisogni.

COME POTREMMO GESTIRE QUEST’ANSIA?

ansia covid rilassarsi

Una domanda questa che nasconde il reale problema che staremmo vivendo.

Se infatti l’ansia fosse un qualcosa di assolutamente normale ed anzi funzionale alla nostra sopravvivenza, così come è stato descritto sopra, perché si dovrebbe avvertire il bisogno di gestirla?

Il motivo è spesso da rintracciarsi negli sforzi che tuttora si starebbero compiendo per allontanare da sé gli scenari catastrofici e inaccettabili che si vorrebbe invece scongiurare.

Chi nutre il forte bisogno di controllare al meglio la propria ansia, infatti, assume un atteggiamento di completo rifiuto di queste esperienze. Sarebbero dunque le azioni che già si starebbero compiendo ad impedire ad una normale reazione emotiva di ridursi in modo naturale e spontaneo.

L’estrema gravità che si starebbe attribuendo agli scenari negativi venuti in mente, unita ad un atteggiamento di completa inaccettabilità di simili esperienze, renderebbe così l’ansia un’esperienza estremamente più intensa e frequente, oltre che difficile da sopportare.

Certo, esistono diverse tecniche di rilassamento a cui ci si potrebbe rifare per vedere così ridotta  l’esperienza emotiva dell’ansia.

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Tuttavia, qualsivoglia procedura che potrebbe essere utilizzata andrebbe ad alimentare quello stesso atteggiamento che starebbe mantenendo il vero problema.

Possiamo prendere un antidolorifico per ridurre il dolore per un dente cariato, ma fino a quando non ci si rivolgerà dal dentista per la sua sanificazione, il problema continuerà a persistere.

Discorso analogo vale anche per le problematiche d’ansia. Per quante tecniche di rilassamento si potrebbe imparare ad utilizzare, nessuna di queste riuscirà a cambiare l’atteggiamento mentale di fondo che starebbe alimentando la propria ansia.

Questo è il motivo per il quale appare forse poco utile offrire guide pratiche fai da te per imparare specifiche tecniche per ridurre l’ansia.

In assenza di una chiara comprensione del momento in cui avvalersi di tale tecniche e del modo con cui utilizzarle, gli effetti di rilassamento attesi dalla pratica di una di queste tecniche agirebbero a completo discapito della persona, in quanto alimentanti nel lungo periodo la percezione di gravità e intollerabilità degli scenari ansiosi.

Più utile, al contrario, si rivelerebbe rivolgersi ad un esperto per meglio comprendere quali fattori stessero mantenendo il proprio problema di ansia.

Sfortunatamente, il timore del possibile giudizio negativo, che gli altri potrebbero attribuire nel venire a conoscenza del problema che si starebbe vivendo, esorta molte persone a ricercare strategie di auto-aiuto che, come è stato descritto, finiscono spesso con l’aggravare la propria condizione psico-emotiva.

Altre volte, invece, è lo stesso atteggiamento che starebbe mantenendo il problema a far vivere l’eventualità di rivolgersi ad un esperto come un qualcosa di disdicevole e imbarazzante.

L’idea di chiedere aiuto, infatti, viene spesso vissuta con ulteriore ansia, a motivo della conferma che così si avrebbe dell’idea di essere quella stessa persona debole e problematica che si vorrebbe per contro sfatare.

Per questo molte persone preferiscono dapprima impegnarsi nella risoluzione del proprio problema emotivo ricercando dapprincipio una soluzione in modo autonomo.

Provano a sfidare se stessi, compiendo sforzi innumerevoli pur di non ricercare un supporto che rivelerebbe loro di essere esattamente quel tipo di persona che temono di essere.

Nel loro immaginario, avvalersi dei servizi di un esperto esprimerebbe infatti l’ultima risorsa a disposizione per far fronte al proprio problema, come il jolly da giocare sul finire di una partita che si vuole dapprima provare a vincere ricorrendo soltanto sulle proprie forze.

Tale logica nasce spesso da un errore di fondo: il credere che l’avvalersi della conoscenza di uno esperto esuli dal riuscire a risolvere i propri problemi in modo autonomo.

Al contrario, chi svolge questa professione sa bene che il potere curativo insito nel proprio ruolo è pressocché nullo rispetto a quello di cui già dispone la persona stessa.

Non a caso si è soliti ritenere che il lavoro psicologico consista nello sforzo attivo di far diventare la persona terapeuta di se stessa.

Tale concezione ha il pregio di porre nuovamente la persona al centro del suo processo di cambiamento, come pure quella di circoscrivere le competenze dello specialista alle conoscenze teoriche e tecniche che gli sono utili per aiutare la persona ad auto-aiutarsi.

CONCLUSIONI

In questo periodo diversi pensieri negativi potrebbero portarci a vivere la nostra quotidianità con grande preoccupazione.

Ne sono un valido esempio l’idea di poterci contagiare, di perdere il lavoro, di vedere il futuro dei nostri figli compromesso, di rimanere ancora a lungo in casa o di riprendere la vita di un tempo.

Eppure l’ansia è una condizione normale, in quanto utile a prepararci al meglio per affrontare tali situazioni di pericolo.

Delle volte, tuttavia, specifici fattori personali ed ambientali possono portarci a vivere reazioni d’ansia particolarmente intense, frequenti e ostacolanti il raggiungimento dei nostri obiettivi.

In simili casi, è utile comprendere che cosa starebbe mantenendo elevati i livelli di ansia, anche avvalendosi dei consigli di un esperto attraverso una consulenza  a distanza.

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