ATTIRARE L’ATTENZIONE
Oggi riflettevo su come spesso i nostri bisogni ci pressino così tanto da portarci a fare tante cose, molto spesso futili e poco chiare.
Che bisogni?
Di ogni genere.
Bisogni di affetto, di autorealizzazione.
Bisogni di amore.
Non vitali, forse non più, ma comunque importanti.
Quel tanto che basta da farci trascorrere delle belle nottate in bianco quando non vengono soddisfatti.
Riflettevo sul fatto che non tutti si concedono di far “parlare” questi bisogni.
Certe parole si è imparato che è meglio non dirle.
Né agli altri, né a stessi.
Soprattutto a se stessi.
Eppure parlano, questi bisogni, benché con linguaggi non da tutti comprensibili.
Specie se non allenati a farlo.
A fare cosa?
A decifrare ciò che non viene detto in modo esplicito, né pensato in modo cosciente.
Solo agito.
Emozioni espresse in modi così strani da farci come perdere ogni collegamento diretto con il bisogno che vi sta dietro.
Chi mai potrebbe pensare che si evita proprio chi si ama di più?
Eppure il dolore che si prova nel percepire un eventuale rifiuto porta anche a questo.
Anche a criticare, delle volte.
Ad offendere, delle altre.
Si aggredisce chi si ama perché si allontani.
Da lontano fa tutto meno male.
Altre volte invece neghiamo a noi stessi la possibilità di mostrare la nostra tristezza.
Tante le spiegazioni.
Tante quante sono le belle trovate che si compiono per vedere soddisfatto quel bisogno.
Chili in meno o di troppo che parlano del dolore dei non amati;
Ferite che raccontano del desiderio di essere visti senza chiedere;
Sorrisi di circostanza che mantengono l’altro vicino quanto basta per respirare, pur soffocando dentro.
Emozioni nascoste, represse, cambiate.
Ci si concede di esprimere tutto fuorché ciò di cui più si ha bisogno.
Come nel celebre gioco del TABÙ, dove l’abilità del tradurre con sinonimi o esempi le parole proibite decreta in genere la squadra vincente, così nella vita vince chi riesce al meglio a trovare un modo alternativo per essere visto senza farsi vedere.
A patto che l’altro abbia occhi per guardare, certo.
Ma questa è un’altra storia.
Chi vuole attirare l’attenzione si nasconde per essere trovato, ma non ha la certezza che l’altro sappia dove andare a guardare.
Eppure ci spera, eccome se ci spera.
Quanto un bambino che scappa dal genitore per essere riconcorso, infine afferrato, come per il colletto.
In quello strattone improvviso, in quel rimprovero o in quella violenza persino, è lì che si sente quella vocina:
Ti ho trovato finalmente!
« Chi ha l’occhio, trova quel che cerca anche ad occhi chiusi » (Italo Calvino)
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