FATICA A RESPIRARE: COVID-19 O ANSIA?

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Avere difficoltà a respirare correttamente è un problema che in tempo di pandemia da Covid-19 spaventa e non poco.

Pensare infatti che la “fame d’aria” che si starebbe vivendo dipenda dall’aver contratto il Coronavirus preoccuperebbe chiunque.

Le informazioni che ci pervengono da più fonti, dopotutto, contribuiscono a farci vivere l’eventualità di un contagio come un qualcosa di particolarmente grave e minaccioso, alimentando frequentemente intensi vissuti di ansia e di panico.

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Temere la fame d’aria appare dunque un qualcosa di assolutamente normale e comprensibile, dato il delicato momento che stiamo vivendo.

È pur vero, tuttavia, che non sempre questa sgradevole sensazione attesta realmente una condizione così grave come si potrebbe credere.

Non di rado, infatti, la modifica della nostra respirazione avviene in modo spontaneo per semplici meccanismi psicofisiologici.

Come poter distinguere dunque se la fame d’aria  dipende dalla presenza del Coronavirus o da una  crisi d’ansia?

Scopriamolo assieme.

PERCHÉ CI AGITIAMO?

Partiamo da un semplice presupposto: sia che si abbia contratto il Covid-19, sia che non lo si abbia contratto, accorgersi di non riuscire a respirare correttamente può innescare uno stato di ansia o di panico.

Il motivo è presto detto: dato il grande discutere di questa malattia, diffusasi a livello pandemico, è altamente probabile che la nostra mente ci induca a pensare di aver contratto il Covid-19.

« Ho preso il Covid-19! »

Questo pensiero è tale da innescare uno stato di ansia di intensità più o meno marcata a seconda di quanto potremmo ritenere:

  • gravi le conseguenze a cui potremmo essere esposti;
  • probabile l’aver contratto il virus.

Come è facilmente intuibile, tanto più ci riterremo vulnerabili alle conseguenze del Covid-19, quanto più lo stato di ansia o di panico sarebbe intenso.

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Al tempo stesso, convincersi che il non riuscire a respirare correttamente dipenda dall’aver contratto il Covid-19 porta a vivere uno stato di ansia certamente più intenso di quello che si potrebbe vivere mantenendosi più cauti sulla possibilità di essersi realmente infettati.

Gravità e probabilità, tuttavia, non sono gli unici fattori che regolano l’intensità della nostra ansia da malattia.

Anche la percezione di riuscire o meno ad affrontare un’eventuale infezione con le proprie forze o con l’ausilio di altre persone gioca un ruolo importante.

Nello specifico, spaventa di più percepirsi come incapaci ad affrontare autonomamente l’eventuale convalescenza legata alla malattia, piuttosto che ritenersi capaci di affrontare tutte le difficoltà che questa potrebbe richiedere.

Allo stesso modo, spaventa maggiormente pensare di contrarre il virus in una condizione di completo isolamento, piuttosto che quando circondati da persone che potrebbero aiutarci.

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Come si è detto, tali osservazioni sono valide sia che la sensazione di mancanza d’aria fosse effettivamente dipendente dalla presenza di un’infezione da Coronavirus, sia che dipendesse unicamente alla presenza di uno stato di ansia.

In pratica, potremmo agitarci indipendentemente dal reale motivo per il quale staremmo riscontrando una difficoltà respiratoria.

Non solo.

Potremmo spingerci persino a riconoscere come la percezione di una simile difficoltà nel respirare sia tale da innescare uno stato di ansia o di panico che contribuisce maggiormente a rendere difficile la respirazione.

In parole povere, una crisi d’ansia può sia causare la difficoltà respiratoria, sia intensificarla!

COME PUÒ L’ANSIA PROVOCARE  LA FATICA A RESPIRARE?

Capita spesso che amici, familiari o specialisti ci invitino a pensare che le sensazioni corporee che più ci starebbero allarmando dipendano unicamente dall’ansia che staremmo vivendo.

Quando questo capita, ci si può sentire delusi o infastiditi all’idea di essere presi poco sul serio o giudicati come ipocondriaci.

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Si fatica a credere, infatti, che un qualcosa che si sta percependo nel proprio corpo possa avere un’origine puramente psicologica.

È da quando il celebre filosofo francese René Descartes (Cartesio)  teorizzò nel XVIII la presenza di una dicotomia tra mente e corpo che la cultura Occidentale si porta dietro tale comune fraintendimento.

Che poi le parole di Cartesio fossero state travisate rispetto al loro reale significato è tuttora argomento di dibattito.

Quel che resta, ahimè, è la convinzione, tutt’oggi diffusa, che mente e corpo sia due universi paralleli.

Diffusa a livello sociale, certo, non in ambito scientifico.

COSA CI INSEGNA LA SCIENZA

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Gli studi che negli anni sono stati compiuti hanno portato alla luce una realtà molto differente, mostrandoci come la mente sia al servizio del corpo non meno di quanto il corpo lo sia per la mente.

D’altronde è esperienza comune pensare in modo ossessivo al cibo quando il corpo ce lo richiede, come pure provare una sensazione di benessere corporeo quando i nostri obiettivi sono stati raggiunti.

Corpo e mente appaiono dunque entità inscindibili ed anzi legate tra loro più di quanto si potrebbe credere.

Prendiamo per esempio il modo in cui respiriamo.

Non tutti sanno che la respirazione è un processo che avviene in gran parte in modo spontaneo.

Non abbiamo bisogno di ricordarci di respirare (per fortuna!).

Semplicemente respiriamo.

È conveniente per la nostra mente non dover pensare continuamente a respirare.

In questo modo, infatti, abbiamo la possibilità di pensare ad altre cose per noi importanti.

Ma perché ciò sia possibile, tuttavia, devono esserci delle strutture biologiche che controllano il respiro al posto della nostra mente.

Diversi studi localizzano queste sedi in specifiche aree del nostro cervello; nello specifico, in quelle parti più antiche che abbiamo in comune con gli animali (anche loro respirano, in effetti!).

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Queste centraline regolano così la respirazione in modo autonomo, senza che la nostra mente debba continuamente controllarne l’andamento.

L’aspetto che qui più ci interessa è che l’attività di questi centri può cambiare sotto l’influsso di segnali provenienti da diversi sistemi neuro-biologici dell’organismo.

Un esempio?

Provate a respirare più velocemente o più lentamente!

La possibilità di controllare il respiro è infatti il riflesso dell’influenza che la corteccia cerebrale (l’area che si crede essere più associata alla nostra coscienza) ha su questi centri.

La corteccia non è sola regione in grado di modificare l’attività delle centraline del respiro.

Diverse altre sistemi neuro-biologici sono infatti in grado di modificare il modo in cui respiriamo.

Quando svolgiamo dell’attività fisica, ad esempio, è facile che ci venga il fiatone.

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Non scegliamo di respirare più velocemente, ma altri sistemi del nostro corpo provvedono a questo.

E non senza ragione.

Abbiamo bisogno di più ossigeno perché i muscoli possano contrarsi e distendersi, dando origine ai movimenti compiuti durante l’attività motoria.

Dunque, abbiamo bisogno di respirare più velocemente.

A ben vedere, tuttavia, non si modifica solo il modo di respirare.

Anche il cuore cambia la sua attività, battendo più velocemente per pompare rapidamente  il sangue ricco di ossigeno verso i muscoli.

Tutta questa velocità porta come effetto ad un surriscaldamento dell’ambiente interno del corpo, al punto da richiedere all’organismo di attivare uno specifico meccanismo in grado di produrre un rapido raffreddamento corporeo: la sudorazione!

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A contatto con l’aria, infatti, le goccioline di sudore che espelliamo dalla cute evaporano, raffreddando di conseguenza il nostro corpo.

E L’ANSIA CHE CENTRA?

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L’ansia è quell’insieme di processi che la nostra mente attiva quando vuole anticipare la comparsa di una minaccia.

Che tipo di minaccia?

Per esempio la possibilità di contrarre il Covid-19.

Siamo così bombardati da notizie che riguardano questo virus che è facile ritrovarsi a pensarci senza neanche rendersene conto.

La nostra mente, infatti, lavora in gran parte al di fuori della nostra consapevolezza, mostrandoci di tanto in tanto soltanto alcuni dei suoi mille pensieri.

Pratiche meditative, come la mindfulness, sono utili proprio perché aiutano ad incrementare la consapevolezza di come lavora la nostra mente, permettendoci di sganciarci da preoccupazioni futili o prive di ogni fondamento.

Senza rendercene conto, la nostra mente è intenta in un processo di continua analisi delle informazioni che provengono dall’esterno e dall’interno.

Quando ritiene che alcuni di questi stimoli siano informativi dell’occorrenza di una possibile minaccia, ecco che allora attiva una serie complessa di modifiche dell’organismo.

Delle volte ce ne accorgiamo dai brutti pensieri che ci stanno passando per la mente; altre volte, invece, da quella sensazione di agitazione e irrequietezza che ci porterebbe a fare qualcosa per stare più tranquilli, come uscire dal negozio in cui ci troviamo per tornare prontamente a casa.

Altre volte, infine, ce ne accorgiamo dai cambiamenti che stanno avvenendo nel nostro corpo.

La sensazione di mancanza d’aria è uno di questi cambiamenti.

Perché avviene?

Semplice: perché i muscoli hanno bisogno di più ossigeno per prepararsi ad affrontare la possibile minaccia che la nostra mente ha previsto.

Perché ciò sia possibile, dunque, invia un segnale ai centri che regolano il respiro, dicendo loro di aumentare il ritmo della respirazione.

Questo meccanismo è altamente sofisticato, ma delle volte fa cilecca.

LA PAURA DELLA PAURA

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Immaginate una mente che, prevedendo una minaccia, attiva senza che noi ne siamo consapevoli tutti quei processi che definiamo per semplicità come stato di ansia.

Immaginate ora che la respirazione diventi più alta e in parte affannosa.

Immagine infine di rendervi conto  improvvisamente di questo cambiamento nella respirazione.

Che cosa pensereste?

« Ho preso il Covid-19! »

E che effetto potrebbe avere questo pensiero?

Probabilmente quello di farvi agitare più di quanto già eravate, a vostra insaputa, fino a farvi arrivare ad un vero e proprio attacco di panico.

Come è facilmente intuibile, la mente aumenterebbe l’intensità di tutti quei processi che già aveva attivato in precedenza senza che voi ne foste consapevoli.

Risultato?

Il fiatone di cui stiamo parlando.

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Potreste non accorgervi dell’aumento di sudorazione nei palmi delle mani e vostre ascelle; come pure di avere i muscoli più contratti; o q ancora dell’aumento del battito cardiaco e della secchezza della vostra bocca.

Eppure, molti di questi cambiamenti interni starebbero avvenendo e, badate bene, sotto l’impulso della vostra mente!

Non lo stareste facendo in maniera consapevole, certo, ma starebbe comunque accadendo per un puro e semplice fenomeno psicologico.

Quello dell’ansia, in questo caso, o meglio dire della paura della paura.

Riassumendo:

#1. Condizionata dall’ambiente esterno, la mente anticipa un possibile pericolo, quale ad esempio può essere la possibilità di contrarre il Covid-19.

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#2. Senza che ne siate consapevoli, la mente attiva quell’insieme di cambiamenti che potrebbero essere utili per sostenere l’eventuale minaccia preventivata.

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#3. Iniziano così a comparire dei pensieri negativi (di cui potreste non essere del tutto consapevoli), una sensazione di agitazione e irrequietezza interna, oltre che diverse sensazioni corporee (es., respiro corto, cuore che batte più velocemente, sudorazione, etc.).

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#4. Vi accorgete di alcune di queste sensazione, specialmente di quelle che potremmo temere maggiormente, data la preoccupazione che già stareste vivendo (es., respiro affannoso).

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#5. Consapevolmente, iniziate a pensare che il modo in cui state respirando non è normale, fino a pensare di aver contratto il Coronavirus.

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#6. Si intensificano infine tutti i cambiamenti che già stavano occorrendo, portando ad un progressivo aumento dei pensieri negativi, dell’irrequietezza e delle sensazioni corporee.

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Solo e “semplice” ansia, dunque?

Possibile, ma non è l’unica risposta, motivo per cui è importante sapere come comportarsi in casi di difficoltà nella respirazione.

COSA FARE QUANDO SI HA FATICA A RESPIRARE?

Cosa saggia e giusta è informare il proprio medico di base.

Pur ammettendo che la difficoltà nel respirare correttamente non dipenda dall’aver contratto il Covid-19, infatti, non possiamo escludere la presenza di altre condizioni mediche che richiederebbero opportuna valutazione.

Perché dunque sia possibile ricondurre la fatica che si vive nel respirare ad uno stato di ansia, è necessario che dapprima vengano escluse spiegazioni di carattere medico.

Fate attenzione: questo non significa che in presenza di un problema medico voi non possiate comunque essere agitati.

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È l’ipotesi forse più probabile, oltre che più sana e adattiva.

Il punto è capire se l’origine di questa fatica dipenda primariamente da un fattore medico o psicologico.

Capite dunque che la vostra ansia o il vostro panico potrebbero stare:

  • causando la difficoltà nella respirazione;
  • contribuendo a mantenere la fatica nel respiro.

Come capirlo?

Per esclusione.

Questo ragionamento è spesso distante da quello del senso comune.

La maggior parte delle persone, infatti, è convinta che per allontanare una preoccupazione occorra inseguire la via della certezza.

« Bisogna trovare spiegazioni attendibili che confermano che sono sano come un pesce! »

Niente di più distante dal vero.

In ambito specialistico, infatti, non si procede mai per conferme, ma per sconferme.

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Un’ipotesi rimane valida fintanto che non subentra una spiegazione che la falsifica.

Un esempio?

  • temiamo di aver contratto il Covid-19 (si formula un’ipotesi iniziale);
  • il medico compie delle osservazioni cliniche o degli esami specialistici, come può essere il tampone naso-faringeo (si confuta l’ipotesi iniziale);
  • gli esiti di tali accertamenti ed esami non confermano la presenza del Coronavirus (si trovano prove contrarie all’ipotesi iniziale);
  • ci si rassicura di non aver contratto il Covid-19 (si scarta l’ipotesi iniziale).

Capite bene che questo comporta che non si possa mai essere certi al 100% di avere realmente contratto il Covid-19, neanche avendo ricevuto parere contrario da parte del medico.

Il rischio di essersi realmente infettati, dunque, c’è e sarà presente, essendo per natura ineliminabile.

La questione, pertanto, risulta come si può convivere con tale dubbio.

Viceversa, in caso di negatività da Covid-19 potremmo avere un utile elemento per sconfermare il nostro timore iniziale.

Tenderemmo dapprima a rimanere un po’ scettici, per poi accontentarci della spiegazione offertaci dal medico o dall’esito del tampone.

In pratica, accetteremmo di correre il rischio di sottovalutare la portata della difficoltà respiratoria che staremmo comunque vivendo.

Come è possibile?

È un processo inconsapevole quello che ci porta ad accettare di correre questo rischio.

Il tutto si traduce nel valutare se sia per noi più conveniente rimanere preoccupati tutto il giorno o accettare la spiegazione che potrebbe venirci proposta dal medico.

Lo stress, che infatti genera questa condizione di incertezza, è tale da portarci a scegliere la soluzione più conveniente, nella maggior parte dei casi coincidente con il fidarsi dello specialista che abbiamo di fronte.

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Iniziamo allora un processo implicito di auto-convincimento, in cui la mente prova a persuadersi che l’ipotesi che ci è stata proposta sia effettivamente quella più realistica.

« È uno specialista! Se non lo sa lui, chi può saperlo?! »

La maggior parte delle volte questo processo di auto-suggestione ha la meglio, consentendoci di abbracciare completamente la spiegazione che ci è stata offerta.

« È solo ansia! »

Quando questo avviene, riusciamo effettivamente ad allontanare la preoccupazione di esserci ammalati.

Non scegliamo coscientemente di non preoccuparci, ma d’un tratto la preoccupazione per la mancanza d’aria è come se passasse in secondo piano, fino a sparire del tutto.

Come se improvvisamente ce ne dimenticassimo.

Questo è il motivo per il quale tendenzialmente non occorrerebbe gestire l’ansia e le preoccupazioni, essendo fenomeni per loro natura destinati a non persistere nel tempo.

Delle volte, tuttavia, questo non avviene in modo spontaneo e si continua a rimanere preoccupati.

PERCHÉ RIMANIAMO PREOCCUPATI?

Una prima spiegazione chiama in causa la percezione di utilità che si avrebbe del rimanere preoccupati.

In pratica, ci si continuerebbe a preoccupare per scaramanzia, seguendo alla lettera l’arcinoto proverbio del “prevenire è meglio che curare

Comune in questi casi sarebbe il vivere con stress e agitazione le occasioni che potrebbero, per contro, portare a rilassarsi.

Nel rilassamento, infatti, vi sarebbe quella riduzione di controllo che esporrebbe al rischio più temuto: la possibilità che una difficoltà respiratoria possa effettivamente corrispondere ad un’infezione da Covid-19.

Un forte tema di controllo, dunque, retto dalla convinzione superstiziosa che sia possibile prevenire ogni male semplicemente mantenendo elevato il proprio grado di controllo sulle diverse sensazioni corporee.

Un’altra possibile spiegazione ha a che fare con il significato che si starebbe attribuendo alla presenza di normali sensazioni legate all’ansia.

Immaginate di provare immediatamente un fortissimo dolore al petto e di iniziare ad avvertire il vostro cuore battere all’impazzata.

È facile immaginare quale possa essere la spiegazione che immediatamente potrebbe venirvi in mente per spiegarvi questo spiacevole evento: un infarto!

Allo stesso modo, sentire le gambe deboli, avere la vista offuscata e percepire una fastidiosa sensazione di confusione e stordimento potrebbe portarvi a credere di stare per perdere il controllo o svenire da un momento all’altro.

Scenari, questi ultimi, tutt’altro che piacevoli da immaginare in effetti.

Ma starebbero accadendo realmente?

Niente di più distante dal vero, naturalmente, ma simili pensieri possono comunque portarci ad intensificare le nostre preoccupazioni, finanche a vivere un vero e proprio attacco di panico.

La possibilità di rivivere queste esperienze può così portarci ad assumere a nostra insaputa comportamenti che potrebbero paradossalmente aumentare la probabilità di vivere simili esperienze, intensificando il nostro disagio.

Delle volte la demoralizzazione e lo sconforto che si vivono nel riconoscere di non riuscire ad allontanare la propria ansia e il panico sono tale da farci entrare progressivamente in uno stato di abbattimento, spesso culminante in un problema di depressione.

Per prevenire tale rischio e gestire al meglio le proprie preoccupazioni,  si mostra allora utile rivolgersi ad uno psicologo per essere aiutati a comprendere quali fattori starebbero contribuendo a mantenere la nostra preoccupazione.

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