SENTIRSI ABBANDONATI

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Un dolore grande è quello che si prova quando ci si sente soli e abbandonati.

Un dolore straziante e a tratti insopportabile.

Ciò malgrado, anche questo tipo di esperienza fa parte della vita di tutti noi.

È difficile infatti pensare di trascorrere una vita intera senza mai sentirsi soli e abbandonati a se stessi.

Per quanto ci si possa sentire circondati da persone che ci vogliono bene, il sentimento di solitudine e di abbandono potrebbe comunque bussare alla nostra porta, portandoci a vivere una buona dose di ansia e tristezza.

Questo ci porta a riconoscere un qualcosa di importante: il sentimento di abbandono lo si prova indipendentemente dal fatto che altri possano realmente abbandonarci.

Come è possibile?

PERCHÉ CI SI SENTE ABBANDONATI

Le circostanze che possono portarci a sentirci soli e abbandonati dagli altri sono molteplici.

Molteplici, dopotutto, sono le possibili interpretazioni che possiamo offrire di uno stesso evento.

È questo il fondamento dell’approccio cognitivo-comportamentale a cui molti psicologi si rifanno per aiutare chi soffre di vari disagi psico-emotivi.

In pratica, si pensa che non sia ciò che ci capita a portarci a vivere quell’angosciosa sensazione di abbandono, quanto piuttosto il modo d’intendere ciò che ci capita.

Possiamo dunque sentirci abbandonati anche quando non c’è nessuno che ci sta realmente abbandonando.

Ma possiamo anche non sentirci abbandonati quando c’è qualcuno che ci sta realmente abbandonando.

Nel primo casso la mente ci porterebbe ad immaginarci uno scenario in cui potremmo venire abbandonati da una persona con cui vorremmo mantenere un certo grado di vicinanza.

Fisica o emotiva che sia.

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La sensazione di abbandono, in questo caso, non sarebbe altro che il prodotto di questo spiacevole immaginario mentale, che rivelerebbe quanto per noi conterebbe quello specifico legame affettivo.

Nell’altro caso, invece, il legame non avrebbe così tanta importanza.

Si potrebbe persino vivere l’abbandono concreto ed oggettivo come un evento neutro o poco spiacevole, finanche desiderabile persino.

È questo il caso, per esempio, di chi non riesce a lasciarsi per puro e semplice senso di colpa.

Se dunque non sarebbe la sensazione di abbandono in sé a rappresentare il vero problema, essendo come si è visto un qualcosa di assolutamente normale, verrebbe la pena domandarsi quali siano, piuttosto, le circostanze che, se presenti, possono contribuire a rendere questo tipo di esperienza particolarmente difficile da vivere e sopportare.

FORTE SENSIBILITÀ ALLE PERDITE AFFETTIVE

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Quello che accade quando un rapporto finisce è un susseguirsi di emozioni e sentimenti complessi e dolorosi.

Ad una fase iniziale di incredulità e sconcerto fa presto seguito un forte senso di angoscia, che non di rado porta a negare quanto sia appena accaduto (es., “Non è possibile“, “Non può essere così“,  “Non voglio crederci“).

A seguire, si presentano le sensazioni forse più tipiche dell’interruzione di un rapporto affettivo: l’angoscia del vuoto e della perdita, come pure la sensazione di solitudine e di abbandono.

Spesso può presentarsi anche un forte senso di impotenza al pensiero che nulla può essere fatto per ricucire il rapporto appena interrotto.

Ci si sente allora delusi e ingannati, come se la persona verso cui si era così fortemente legati non avesse mai realmente compreso e apprezzato la nostra persona.

Infine, si può arrivare a credere di non contare più niente per nessuno.

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È allora che iniziano ad emergere altre sensazioni spiacevoli, quali:

  • la sensazione di essere diversi dagli altri (“Gli altri non sono come me. Per loro l’amore conta così poco. Per me invece è una cosa sacra e preziosa“);
  • la sensazione di essere indifesi e vulnerabili (es., “Sono debole, da solo come farò?!”);
  • la sensazione di essere inadeguati e di non valere niente (es., “Non troverò mai nessuno che mi apprezzi allo stesso modo. Non sono degno di tali apprezzamenti. Sono solo un bluff”).

Le persone che ci circondano possono apparire di colpo meno importanti, fino al punto di destare in noi un senso di rancore e nervosismo.

Un flusso di emozioni travolgenti inizia quindi a scombussolare il nostro equilibrio:

  • una rabbia intensa, di protesta, motivata dal pensiero di non essere mai stati realmente creduti, capiti, amati come invece si pensava;
  • una forte angoscia da separazione, motivata dal pensiero di non essere abbastanza forti per andare avanti da soli;
  • un forte dolore e tristezza, motivate dal pensiero di avere perso un qualcosa di unico e prezioso, unita all’idea che più niente sarà come prima.

Nel loro insieme questi vissuti possono rendere la rottura di un legame affettivo un evento di certo non semplice da gestire.

Indipendentemente dal tipo di legame che si era instaurato.

Naturale dunque che, qualora nella propria vita non si fosse riusciti ad elaborare determinate perdite affettive, la prospettiva di poter vivere esperienze analoghe desterebbe un forte senso di ansia e preoccupazione.

La mancata elaborazione di un lutto, ad esempio, o la presenza di traumi vissuti nell’infanzia o nell’adolescenza possono rendere l’esperienza della perdita un vissuto che porterebbe a rivivere pensieri, emozioni e sentimenti ritenuti ingestibili e intollerabili.

ECCESSIVO BISOGNO DI ATTENZIONE

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La rottura di un legame affettivo non rappresenta l’unico scenario che può portare a vivere la dolorosa sensazione di essere abbandonati.

Non infrequente, infatti, è il vivere l’abbandono pur in assenza di un reale abbandono.

È questo, per esempio, il caso che caratterizza chi nutre un forte bisogno di cura e protezione.

Storie di vita caratterizzate da trascuratezza nell’infanzia o nell’adolescenza possono portare a vedere accresciuto questo naturale bisogno e conseguentemente il desiderio di riceverlo da specifiche figure.

Le stesse da cui si teme di poter essere improvvisamente abbandonati.

È verso tali figure che allora si demanda una maggiore richiesta di attenzione e vicinanza protettiva, spesso tuttavia in modo indiretto e poco utile.

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Un esempio?

Non manifestando all’altro tale bisogno, ma mantenendo la convinzione che sia l’altro a doversi accorgere di tali bisogni perché gli stessi possano venire soddisfatti.

Come dire che, laddove tali bisogni venissero comunicati direttamente, ciò equivarrebbe a confermarsi quel brutto pensiero di essere del tutto invisibili agli occhi di chi vorremmo che ci accudisse.

In pratica, ci si sentirebbe indegni di ricevere affetto e amore, motivando ad una loro richiesta indiretta per mezzo di atteggiamenti aggressivi o esagerati.

Laddove tali “eccessi” portassero all’avvicinamento desiderato, la persona vedrebbe così allontanata da sé la sensazione di abbandono tanto temuta.

Diversamente, si continuerebbe ad “alzare il tiro” fintanto che non venisse appagato il bisogno di accudimento tanto desiderato.

E tanto maggiore sarebbe tale bisogno, quanto maggiore sarebbe il timore dell’abbandono, come spesso accade in chi soffre di un disturbo borderline di personalità.

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Il problema, in questi casi, è che spesso l’avvicinamento, che così si ottiene dalle figure da cui si vorrebbe ricevere attenzione e considerazione, è puramente di breve durata.

Chi asseconda i bisogni d’affetto dell’altro, infatti, lo fa spesso “denaturandosi” e pensando che l’altro stia vivendo un momento circoscritto in cui tale bisogno si starebbe facendo più intenso.

Vedendo tuttavia che tali rassicurazioni affettive non riuscirebbero realmente a far sentire l’altro più sicuro e amato, si inizierebbe a prenderebbe a poco a poco le distanze da quest’ultimo.

Non necessariamente per porre termine al legame, ma anche semplicemente per ridefinire il proprio ruolo all’interno della relazione.

Benché utile a tornare all’equilibrio di un tempo, tale ridimensionamento è spesso ciò che porta l’altro a vivere la spiacevole sensazione di abbandono in questione.

Una sensazione resa insopportabile dalla convinzione maturata nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza, di essere del tutto deboli e impotenti in assenza di specifiche figure di supporto.

MANCANZA DI AUTOSTIMA

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L’abbandono è, per definizione, una condizione che si vive quando, ritrovandosi soli con se stessi, ci si sente svuotati della presenza di chi invece era capace di riconoscere l’importanza della nostra persona.

Visto in questi termini, l’abbandono non esprime altro che uno scenario in cui emerge in modo preponderante una sensazione di forte assenza.

Assenza di affetto, per esempio.

Va da sé che tale condizione è tanto più insopportabile quanto più ci si sente incapaci di valorizzare in modo autonomo la propria persona.

In pratica, in presenza di una bassa autostima.

Nella solitudine accade così che viene a mancare quell’importante stampella su cui ci si era appoggiati per sentirsi persone degne di stima e valore.

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Non è un caso, infatti, se la sensazione di abbandono pesa maggiormente a chi:

  • si percepisce privo di carattere e identità personale;
  • ha assunto frequentemente un atteggiamento accondiscendente verso gli altri per evitare conflitti;
  • ha rinunciato a coltivare la propria individualità per timore di sembrare diverso;
  • non è mai stato insegnato che il valore è intrinseco in ognuno di noi.

« La bellezza di un fiore è nota a tutti fuorché al fiore »

In tutte queste circostanze, e in molte altre ancora, il senso di abbandono si colora della presenza di giudizi autocritici tanto negativi da adombrare la persona stessa, in tutti i suoi vari aspetti.

Non è solo il dolore ciò che dunque si potrebbe temere, ma anche la perdita di un senso che solo l’altro era in grado di dare alla propria vita.

A maggior ragione se ci si era appoggiati in modo significativo all’altro per colmare le proprie mancanze caratteriali.

Sono questi i casi in cui è più probabile la presenza di forme di dipendenza affettiva che vincolano la persona a rinnegare quella conoscenza di sé per timore di perdere la presenza dell’altro.

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Diventando altro da ciò che l’altro potrebbe desiderare, infatti, si teme di perdere un legame senza il quale ci si percepirebbe vuoti, privi di scopi e mete da raggiungere.

In una parola: senza valori.

Naturale dunque che, non avendo coltivato valori propri, scenari di perdita della relazione possono così portare a prospettarsi non solo l’angosciosa perdita dell’altro, ma anche di sé stessi.

Come una sorta di perdita della propria identità personale.

Scenario, quest’ultimo, spesso nascosto dietro la paura dell’abbandono, capace di rendere tale sensazione molto più angosciosa e intollerabile.

COME GESTIRE IL SENSO DI ABBANDONO

Il bisogno di cura e protezione è un bisogno umano che ci accompagna per tutto il corso della vita.

Laddove non venga soddisfatto, è comune percepire una sensazione di solitudine e abbandono.

Tali sensazioni interne, per quanto spiacevoli, fanno comunque parte della nostra vita.

Determinate condizioni possono tuttavia portarci a vivere queste come insopportabili.

La terapia cognitivo-comportamentale a cui rifaccio come Psicologo a Verona mira a identificare i fattori che starebbero rendendo tale sensazione insopportabile.

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I fattori di mantenimento di tale disagio, come si è visto, possono essere molto differenti tra loro.

Questo è il motivo per il quale non sembra possibile riconoscere una comune strategia per gestire al meglio tali esperienze, quando avvertite internamente come insopportabili.

Strategie d’intervento utili per alcuni, potrebbero infatti risultate del tutto inefficaci per altri, se non persino dannose.

In alcuni casi si mostra utile supportare la persona ad elaborare quella perdita affettiva o quei traumi occorsi nell’infanzia e nell’adolescenza che la starebbero sensibilizzando alla sensazione di abbandono.

Pratiche come l’EMDR o la terapia sensomotoria si mostrano in questi casi particolarmente efficaci.

In altri casi, invece, l’eccessivo bisogno di cura e protezione potrebbe rendere insopportabile la sensazione di abbandono a motivo dei suoi effetti disorganizzati sulle capacità di introspezione personale.

Vissuti di forte angoscia, dolore e rabbia verrebbero quindi espressi in modi poco utili per ottenere quelle stesse attenzioni di cui si avrebbe bisogno, mantenendo la persona via via sempre più frustrata e bisognosa di cure.

In questo caso, interventi volti ad incrementare la riflessione e la conoscenza dei propri stati emotivi e corporei si mostra particolarmente utile per inibire l’impulsività e autogestire tali vissuti interni.

Diversamente, nei casi in cui a rendere inaccettabile la sensazione di abbandono fosse la presenza di una bassa autostima, interventi cognitivo-comportamentali volti ad aumentarla si mostrano particolarmente utili.

Un’attenta valutazione del caso aiuta dunque a comprendere le strategie d’intervento più utili per essere realmente di aiuto alla persona, evitando perdite economiche e di salute evitabili impostando un corretto piano terapeutico individualizzato.

CONCLUSIONI

La sensazione di sentirsi abbandonati esprime quella sensazione che viviamo quando non riusciamo a vedere soddisfatto un naturale bisogno di cura e protezione.

Diversi fattori possono portarci a vivere questa sensazione come un qualcosa di ingestibile e insopportabile.

Importanti perdite affettive e esperienze traumatiche occorse nel passato, ad esempio, possono renderci più sensibili alle perdite e al senso di abbandono che in questi casi si potrebbe vivere.

L’essere stati trascurati nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza può portarci invece a vivere un bisogno più intenso di cura e protezione che contribuisce a renderci pressoché insopportabile la sensazione di abbandono.

Altre invece è la mancanza di autostima che porta a non riuscire a vivere più serenamente lo stare soli con se stessi.

In tutti questi casi, la terapia cognitivo-comportamentale si mostra una valida soluzione per vedere ridimensionata l’intollerabilità di questa normale esperienza relazionale.

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