SENTIRSI SOLI
Ci sono persone che amano la solitudine, vivendo forse con maggiore difficoltà lo stare insieme ad altre persone.
Altri, al contrario, risentono maggiormente dello stare soli con se stessi, vivendo tale condizione come un qualcosa di particolarmente catastrofico e/o inaccettabile.
Soli sempre più soli.
Così potremmo riassumere la condizione che tali persone vivono, specialmente nell’ultimo periodo.
Isolati dentro un mondo fatto di sentimenti di cui nessuno è a conoscenza, privati della possibilità di condividere quanto di bello e di brutto si starebbe vivendo.
Vediamone qualcuno
LA RABBIA DEL SENTIRSI IMPOTENTI
“Costrizione” è forse il termine che meglio descrive il sentimento che vive chi, percependo la solitudine come l’esito di una scelta esterna, vive un forte senso di impotenza.
La percezione di stare subendo un torto porta a vivere intensi vissuti di rabbia che premono per essere espressi verso chi si crede che ci stia portando verso una condizione indesiderata di solitudine.
Il modo con cui viene gestita questa pressione interna può portare così ad accrescere o meno il proprio disagio.
Ne è un esempio il manifestare in modo esplosivo la propria rabbia verso il partner, considerato il primo imputato chiamato a dare spiegazioni dell’indesiderata condizione di solitudine a cui si crede che quest’ultimo starebbe portando.
Simili esempi attestano non già l’intollerabilità del disagio della condizione di solitudine in cui ci si starebbe trovando, quanto piuttosto l’idea che tale disagio sia il risultato del potere che una fonte esterna starebbe esercitando contro i propri stessi interessi e bisogni.
In breve: il senso di impotenza di fronte alla fonte esterna, da cui la rabbia che così si potrebbe vivere e il bisogno pressante di manifestarla verso chi si crede che stia esercitando simile senso di costrizione.
Un intenso bisogno di riappropriarsi dei propri poteri, dunque, è quello che contraddistingue chi si trova a vivere la rabbia del sentirsi impotente.
E tanto più sarebbe salda la convinzione di non avere alcun controllo sulla fonte che starebbe agendo contro di noi, quanto più ci si sentirebbe impotenti, arrabbiati, desiderosi di una rivalsa.
La vendetta è allora il piatto che si offre per riequilibrare la relazione di potere nei confronti della fonte esterna, solitamente compiuta in modo “silenzioso” ai danni dei bisogni che si percepiscono più intensi nell’altro.
Ne è un esempio, il ricatto sessuale nella relazione tra partner.
Problemi possono anche nascere laddove fosse presente una tendenza ad assumere un atteggiamento relazionale passivo-aggressivo.
In questo caso, infatti, comune sarebbe la dinamica che porterebbe ad esprimere in modo aggressivo i propri bisogni a seguito del continuo protrarsi di una condizione passiva di mancata espressione dei propri bisogni di libertà e autonomia.
La famosa metafora della “goccia che fa traboccare il vaso” attesta questa comune condizione.
Frequenti, altresì, possono rivelarsi gli episodi di panico legati al timore di ritrovarsi impotenti nel vivere una condizione di solitudine favorita dall’esterno.
LA PAURA DEL SENTIRSI INCAPACI
Paura è spesso un modo inappropriato per riferirsi alla condizione di ansia che si vive all’idea di essere incapaci a soddisfare in modo autonomo i propri bisogni quando posti in una condizione di solitudine.
Ansia, e non paura, in quanto condizione temuta più nell’attesa della solitudine, che non nel ritrovarsi realmente soli con se stessi.
Va da sé che quanto più tali bisogni verrebbero considerati importanti dalla persona, quanto più la percezione dell’impossibilità di soddisfarli quando posti in una condizione di solitudine attiva vissuti di intensa ansia .
Ben nota è la formula che la psicologia cognitiva ha proposto per spiegare gli ingredienti psicologici che reggono il fenomeno ansioso.
Con rifacimento a questa formula, dunque, l’ansia legata all’idea di non farcela con le proprie forze quando posti da fonti esterne in una condizione di solitudine potrebbe attestare nient’altro che:
- la percezione dell’assenza di fonti esterne a cui chiedere aiuto in caso di bisogno;
- la percezione dell’assenza di risorse personali per far fronte a tali bisogni.
Ad esempio, la prospettiva di venire lasciati dal proprio partner può associarsi ad un forte vissuto ansioso laddove si avesse fatto grande affidamento su quest’ultimo per compensare alcune mancanze caratteriali o personali.
È questo il caso, ad esempio, di chi presenta un forte tema di inadeguatezza compromettente tanto la percezione di essere una persona di valore (auto-stima), quanto quella di essere una persona capace (auto-efficacia).
Non a caso, chi presenta tale tema si trova spesso a non riuscire a lasciarsi con il proprio partner seppure in presenza di un marcato desiderio di porre termine alla relazione.
La forte avversione verso la sensazione di essere una persona incapace spiega dunque la paura che in molti potrebbero vivere all’idea di potersi ritrovare da soli.
Dietro la solitudine, infatti, si nasconderebbe un vissuto di inadeguatezza fortemente temuto in quanto attestante la convinzione profonda di essere una persona realmente incapace.
Non sempre, tuttavia, la persona si troverebbe manchevole delle risorse per poter soddisfare i propri bisogni in modo autonomo.
Più spesso, al contrario, persone convinte di essere incapaci si mostrano ben in grado di risolvere i diversi problemi che la vita di tutti giorni pone a chiunque ambisca ad essere autonomo e indipendente.
Ciononostante, la consapevolezza di essere riusciti in passato a farcela con le proprie forze non sempre è sufficiente per ridimensionare l’ansia che si potrebbe vivere all’idea di essere incapace, specialmente quando tale convinzione fosse particolarmente radicata e generalizzata a diversi ambiti di vita.
In casi simili la presenza di tali convincimenti può esporre al rischio di andare incontro a problemi di depressione a seguito del mancato raggiungimento di un’autorealizzazione personale.
IL DOLORE DEL SENTIRSI NON AMABILI
L’abbandono è spesso lo scenario più temuto da chi, nel silenzio della propria solitudine, non troverebbe altro che ombre.
Oscuro, d’altronde, è quel passato che di tanto in tanto ritorna a bussare alla propria porta.
Storie di abusi, di violenze psicologiche, di bullismo, di critiche sottili e taglienti come pagine di carta.
Storie di ferite che non si rimarginano e di cui nessuno sembra mai il responsabile.
Storie di persone convinte di essere “non amabili”.
Così si sente chi nella propria solitudine ritrova l’eco di un passato che non si dimentica, ma che tanto si è cercato di dimenticare.
Un’ombra dai gesti che umiliano e dalle parole che feriscono, la cui presenza fa sentire piccoli, fragili, indifesi.
Un dolore che dal di dentro preme per venire fuori, implorando di ricevere quel calore affettivo di cui tanto si avrebbe bisogno.
Lacrime amare sono quelle di chi, solo nel proprio dolore, si sente non degno di essere amato.
Nell’assenza di risposte dall’esterno, infatti, la persona vi ritrova conferma al proprio timore di essere una persona non amabile.
Nessuno occorrerà alla porta per addolcire un pianto che, nel trambusto del mondo lì fuori, finirà per essere strozzato in gola per puro e semplice spirito di sopravvivenza.
Ansia è la risposta che spesso si da, allora, per indicare la paura della solitudine, dell’abbandono.
Una paura che, tuttavia, nasconde non di rado un dolore non riconosciuto come tale, in quanto da sempre tenuto a debita distanza con la vicinanza, la relazione, o con l’esatto contrario.
Ma quando la vicinanza viene limitata o la relazione viene interrotta, ecco allora che le proprie ombre ritornano a parlare, e il fiato si fa alto e i denti si stringono, per trattenere emozioni che a fatica si vuole rivivere.
Solitudine come conseguenza dell’abbandono.
Abbandono come conseguenza dell’essere inamabili.
Inamabilità come condizione esistenziale, in quanto ritenuta immodificabile e duratura.
Questo lo scenario più temuto, in quanto frutto di una sofferenza che nega ogni spinta alla vita e a cui si reagisce coltivando dentro di sé la speranza della relazione.
Non una qualunque relazione, tuttavia, ma solo quella capace di poter scongiurare, con l’affetto che si vorrebbe dall’altro, l’idea di essere una persona indegna di ricevere amore.
COME GESTIRE LA SOLITUDINE
Si è visto come le emozioni di rabbia, ansia e tristezza tendono a presentarsi in modo intenso e improvviso in presenza rispettivamente di sensazioni di impotenza, incapacità e inamabilità.
Malgrado quanto si potrebbe pensare, tuttavia, non è di per sé la possibilità di vivere tali sensazioni a rendere la solitudine un qualcosa difficilmente tollerabile, quanto piuttosto l’idea stessa che tali esperienze siano di per sé catastrofiche e/o inaccettabili.
Un valutazione, dunque, quella che porta le persone a vivere con fatica la solitudine, figlia della convinzione che tali esperienze siano tutto fuorché comuni, limitate nel tempo e informative sulla persona stessa.
Tutti, in breve, vivono la spiacevole sensazione di impotenza, di incapacità e di inamabilità, benché in modo circoscritto e senza per questo identificarsi con tali sensazioni.
Sentirsi impotenti, incapaci o non amabili non rende una persona impotente, incapace o non amabile, ma attesta unicamente che in un momento specifico sta vivendo un tal genere di esperienza a motivo del pensiero di impotenza, incapacità o inamabilità che potrebbe esserle venuto in mente.
Non riconoscere queste come semplici sensazioni spiacevoli può al contrario predisporre la persona a mettere in atto comportamenti che possono confermare tali convincimenti negativi.
Ne sono un esempio:
- le aggressioni fisiche e/o verbali compiute sull’onda emotiva della gelosia, confermanti la convinzione di essere impotente di fronte alla minaccia della condizione di solitudine a cui eventualmente si potrebbe venire esposti in caso di abbandono del partner;
- la ricerca spasmodica di rassicurazioni o di supporti esterni compiute sull’onda emotiva della paura di non farcela da soli, rafforzante la convinzione di essere una persona incapace e di scarso valore;
- l’evitamento di ogni relazione compiuta sull’onda emotiva della paura del dolore derivante da un eventuale rifiuto, validante l’idea negativa di non essere degni di essere amati o accuditi da un’altra persona.
Riconoscere dunque le implicazioni che specifici fattori esterni starebbero avendo sulla propria condizione di solitudine aiuta quindi a non attribuire a se stessi tutta la responsabilità per il disagio che si starebbe vivendo.
Diversi studi mostrano infatti come addossarsi tutta la responsabilità per il proprio disagio aggrava la percezione della propria sofferenza, rendendo più vulnerabili all’emergere di un problema d’ansia o depressione.
Al tempo stesso, accollare tutta la responsabilità a fattori esterni e indipendenti dal nostro controllo non sembra associarsi ad un miglioramento della propria salute.
Il rischio, in questi casi, è infatti quello di accrescere la percezione di sentirsi prigionieri di scelte altrui, intensificando sentimenti di impotenza, di rabbia e il corrispettivo bisogno di sentirsi liberi e autonomi.
Identificare tali fattori e valutare il modo con cui si starebbe reagendo all’eventualità di trovarsi in una condizione di solitudine rientra tra le operazione che caratterizzano un percorso psicologico.
CONCLUSIONI
Sentirsi soli è una condizione che, quando vissuta con particolare disagio, è da considerarsi frutto di una valutazione eccessiva del peso di specifici fattori esterni o interni.
Tali valutazioni sono frutto a loro volta di convincimenti di impotenza, incapacità o inamabilità acquisiti nel corso del tempo e riattivati in momenti specifici della propria vita.
Identificare tali fattori ed intervenire sul modo con cui ci si starebbe proteggendo dalle sensazioni di impotenza, incapacità e inamabilità emergenti stando soli con se stessi aiuta a tollerare e vivere in maniera meno catastrofica la solitudine.
Un percorso psicologico è in grado di raggiungere tale obiettivo, aiutando la persona a sentirsi maggiormente libera da tutti quei comportamenti compiuti per evitare la solitudine.
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