VITA IN QUARANTENA: ISTRUZIONI PER L’USO

smart working verona

scritto da Dr. Alessio Congiu

Con gli spazi che si riducono, la convivenza può risultare particolarmente complessa, per noi e per le persone con cui viviamo.

Ovvietà, me ne rendo conto, ma è con questo genere di problemi che attualmente abbiamo a che fare.

Sorge dunque la necessità di pensare a delle soluzioni che ci consentano di passare indenni questo periodo di quarantena.

In questo articolo vi proporrò alcuni spunti che potreste seguire per gestire al meglio la vita ai tempi del coronavirus.

#1. EVITA DI MANIFESTARE IN MODO ESPLOSIVO E INCONTROLLATO LE TUE EMOZIONI

vita in quarantena

Non è facile, specie se in precedenza l’ equilibrio era mantenuto da una vicinanza scandita dai vari impegni della vita quotidiana.

Lo stare a stretto contatto con persone con le quali si trascorreva un quantitativo minore di tempo ha naturalmente delle ripercussioni sul nostro equilibrio emotivo.

Questo potrebbe manifestarsi in problemi sentimentali, litigi in famiglia o difficoltà con i figli.

Iniziate a prenderne atto, senza per questo giudicare gli altri o voi stessi per eventuali reazioni sopra le righe.

Di tutto potreste avere bisogno in questo momento che di dare o ricevere giudizi negativi mossi dall’impeto emotivo del momento.

Può capitare, a voi o ai vostri cari, di eccedere nei modi e nei toni. Esercitare una giusta dose di tolleranza verso gli altri e voi stessi, specie in un momento come questo. Tutti possono sbagliare, in fin dei conti.

Ricordate: ci troviamo in una situazione atipica, e come tale potrebbe essere utile adottare misure impensate fino a poco tempo prima, misure volte a non stravolgere gli equilibri, ma ad arginare possibili strappi.

Uno di questi è per l’appunto quello di rimandare eventuali discussioni a momenti durante la giornata in cui vi sentirete più in grado di imbastire una discussione dai toni più calmi civili. In breve, anziché cercare di risolvere tutto e subito, prendete tempo.

Ne abbiamo, più di quanto ne vorremmo. Sfruttiamolo dunque per fare qualcosa che ci consenta di stemperare lo stress e i rancori dello stare troppo tempo in casa.

Ci sarà tempo e modo per chiarirsi, a patto che ci si impegni nel non peggiorare ulteriormente le cose.

Questo non significherà non esprimere eventuali disappunti, quanto piuttosto farlo nei tempi e nei modi più utili per trovare assieme all’altro una soluzione costruttiva.

<< Arrivano momenti in cui è d’obbligo liberare una rabbia che scuota i cieli. Occorre per questo scegliere il momento giusto, la collera non va scatenata in modo indiscriminato >> (Clarissa Pinkola Estés)

#2. EVITA DI PORTARE RANCORE

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L’invito precedente a rimandare la risoluzione di un conflitto domestico ad un momento in cui le proprie emozioni fossero meno intense non dovrebbe portarci ad evitare completamente ogni tentativo di chiarimento con l’altro, pena il rischio di alimentare dentro di noi un forte nervosismo.

Portare rancore non ci aiuta né a trascorrere bene il momento che stiamo vivendo, né a chiarirci in futuro con coloro con cui è emersa una reale incomprensione.

Eppure lo facciamo, e spesso anche, convinti che questo sia il metodo migliore per rimarcare la nostra convinzione nei ragionamenti che ci hanno portato a scontrarci con il diretto interessato.

In questo tiro alla fune, portare rancore assolve dunque le sembianze di un tentativo di affermare con orgoglio le proprie motivazioni, e con esse la propria forza.

Letto in questi termini, infatti, il ravvedersi equivarrebbe ad ammettere all’altro le proprie mancanze da un punto di vista personale e caratteriale; un chiaro esempio di sottomissione che, in silenzio, andrebbe a lederci dal di dentro, passo dopo passo, portandoci a vivere con vergogna un eventuale ripensamento.

Evidente dunque la funzione del rancore: la salvaguardia della nostra immagine sociale e personale.

Ma è davvero necessario tutto questo?

Evidente altresì la risposta, ancor più se tenuto conto dei motivi per cui ipotizziamo possa nascere questo forte bisogno di affermarci sull’altro: la convinzione, profonda e spesso inconsapevole, che gli altri ci considerino più deboli di quanto in realtà sentiamo o vorremmo essere.

È per questo che, in questa lotta psicologica con l’altro, si crede che il riuscire ad avere effettivamente ragione sulle motivazioni altrui riesca a testimoniare all’altro la nostra vera forza.

Lo sanno bene gli esemplari adulti di molte specie animali che, una volta raggiunta la piena maturazione sessuale, sfidano il capo branco per innalzare il proprio rango sociale, affinché possano acquisire il diritto di accoppiamento con gli esemplari più giovani e fertili del gruppo.

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Da animali evoluti quali siamo, fortunatamente, non abbiamo necessariamente bisogno di tale genere di competizione.

Un atteggiamento aggressivo di questo tipo, infatti, alimenta indirettamente in noi l’idea di essere davvero inferiori rispetto agli altri, predisponendoci ad un bisogno di competere e di affermarci che, se portato per le lunghe, può spingere gli altri ad isolarci.

Sappiamo ad esempio che la leadership, se non riconosciuta dagli altri, viene più o meno apertamente rifiutata, comportando fenomeni di esclusione dallo stesso gruppo da cui, paradossalmente, si vorrebbe essere riconosciuti come forti e capaci.

Non è un caso se il senso di colpa e il rammarico siano spesso avvertiti in chi è solito assumere un tal genere di atteggiamento, quali tentativi indiretti di essere inclusi nuovamente nel gruppo.

Quand’anche fosse questo il vostro caso, non temete!

L’intelligenza dell’essere umano è tale da portare le persone a vedere con grande stima e apprezzamento coloro che, dall’alto del loro orgoglio, fanno un passo indietro, manifestando con questo non già debolezza e sottomissione, quanto piuttosto intelligenza e forza d’animo.

In una parola, umiltà.

Approfittiamo dunque anche di momenti come questo per comprendere, crescere e migliorare. Non è mai troppo tardi.

<< Più rabbia verso il passato conservi nel tuo cuore, meno capace sei di amare il presente >> (Barbara De Angelis)

#3. NON TRASCURARE IL TEMPO PER TE STESSO

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Uno dei motivi che in  questo periodo è spesso alla base delle liti domestiche è la mancanza di spazi da dedicare unicamente a se stessi.

Diciamolo chiaramente: riuscire a trovare nella propria giornata un tempo in cui pensare solo a sé non era cosa facile neanche prima dell’avvento del coronavirus.

I diversi impegni che arricchivano la nostra giornata erano tali da confinare questi momenti a poche e semplici attività dal gusto solitario.

C’è chi riusciva a ritagliarsi questi spazi nello sport, lontano dalla propria famiglia; chi nella lettura, magari dopo aver messo a letto i figli; chi ancora nella cucina, in attesa del rientro dei propri cari, e così via.

Ciascuno, nel proprio piccolo, riusciva cionondimeno a concedersi un momento per se stesso in cui rifiatare dai ritmi frenetici della giornata.

Ora che invece questi ritmi sono stati completamente stravolti e in cui viene ribadita l’importanza della distanza fisica, paradossalmente, sembra quasi impossibile riuscire ad essere realmente soli.

Dalle video-chiamate di amici e parenti lontani, allo smarthworking; dai figli a casa, ai genitori da supportare in caso di bisogno.

In questo periodo di grande cambiamento , tuttavia, ciò che non cambia è quel bisogno di libertà così importante per il corretto mantenimento di un buon equilibrio psicologico ed emotivo.

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Come riuscire dunque a ritagliarsi questo spazio ora che le distanze sembrano sempre più ridursi?

Il messaggio che qui mi preme sottolineare è che la possibilità per ciascuno di noi di confinarci entro spazi di libertà personali è indipendente dallo spazio fisico che abbiamo a disposizione.

Questi spazi possono essere creati nei piccoli gesti quotidiani, purché compiuti in uno stato “Mindfulness“. In parole povere, riuscire a vivere con maggiore pienezza i momenti specifici della giornata in cui si farà più intenso l’impulso ad allontanarvi da dove vi trovate.

Può apparire controintuitivo, specie laddove si considera la presenza mentale come un ulteriore vincolare la propria attenzione ad uno spazio convissuto con altre persone. Ma il semplice riporre maggiormente l’attenzione nel momento che stiamo vivendo, accettando tutto ciò che potremmo vivere, è forse il modo migliore per poterci concedere una pausa dalla frenesia di un fare che non trova più la sua normale espressione.

Simbolicamente, questi semplici gesti esprimono un modo per segnalare la nostra presenza a quella parte di noi stessi fino ad allora poco ascoltata. È questo quello di cui abbiamo bisogno in effetti: riascoltare i nostri bisogni in un momento dove ci sembra di essere completamente assorbiti a soddisfare i bisogni degli altri.

E quale primo passo se non quello di riascoltare cosa il nostro corpo, la nostra mente, le nostre emozioni hanno da dirci?

In termini pratici il tutto si traduce in modo più semplice di quanto si potrebbe pensare: provate semplicemente a concentrarvi su ciò che state vivendo, nel momento in cui in voi sarà maggiore questo slancio ad evadere dalla vostra dimora.

Ad attirare la vostra attenzione potrebbe essere il rumore degli uccelli fuori dalla finestra, a segnalarvi l’arrivo della primavera; la televisione dei vicini, che rimanda i suoni di qualche film classico dato per l’occasione in tv; la tensione del vostro corpo, dopo una giornata trascorsa affaccendati in casa; un brutto pensiero, che frequentemente torna alla mente.

profonda tristezza

Quale che sia ciò che percepirete nel momento in cui deciderete di fermarvi per dedicare questo piccolo intervallo a voi stessi, provate semplicemente a stare con queste sensazioni, con queste emozioni, con questi pensieri.

Possono suggerirvi molti più modi per prendervi cura di voi stessi di quanto potreste immaginare.

Per alcuni questo potrà comportare il riguardare un vecchio film, magari uno di quelli  che più lo aveva colpito in adolescenza; per altri potrebbe essere guardare alcune di quelle tante foto che si hanno memorizzate nel cellulare e a cui solitamente non si da più importanza; per qualcun altro potrà trattarsi invece di fare un bagno caldo e rilassante, per poi asciugarsi lentamente i capelli, magari ascoltando un brano musicale piacevole e distensivo.

Non importa come deciderete di prendervi cura di voi stessi, ma farlo vi aiuterà a vedere soddisfatti i vostri bisogni, senza dover necessariamente  attendere in modo pretenzioso o rassegnato che a farlo sia qualcun altro, spesso distante dal poter realmente comprendere il linguaggio delle vostre emozioni.

<<  Ascoltare bene è quasi rispondere >> (Pierre Marivaux)

#4. LEGGI L’AUTOCRITICA COME UN INVITO A MIGLIORARTI

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Iniziamo con il dirci qualcosa che potrà sembrare a primo impatto insolito: la solitudine è un eccesso di relazione.

Relazione, poiché quella con se stessi è a tutti gli effetti una relazione, e come tutte le relazioni può essere piacevole o meno.

Da qui l’eccesso: un giudizio che noi in primis attribuiamo a questo incremento del tempo speso in nostra compagnia.

Noi stessi possiamo dunque essere una compagnia anche per noi stessi, non necessariamente delle migliori, anzi; molto spesso sono più le volte in cui questo lieto rapporto non sia né lieto, né un rapporto. Uno scontro, forse, costante e continuo, come nelle migliori storie d’amore.

Odio e amore; un’oscillanza questa di emozioni che si vivono quando la nostra persona stima o disistima se stessa.

Sulla base dei valori che ciascuno di noi persegue, tutti si giudicano. Ora positivamente, quando sentiamo di essere in linea con ciò che per noi più conta; ora negativamente, quando ci sentiamo distanti da tutto questo.

Il giudizio, dunque, non è altro che questo: lo sforzo, inconsapevole, che una parte di noi compie per informarci di quanto possiamo essere vicini o distanti da ciò che per noi ha valore.

Tanto più vicini ci sentiamo a ciò che per noi più conta, quanto più questa vicinanza con noi stessi è piacevole. Ci sentiamo in pace, con gli altri e con noi stessi. Ci critichiamo meno, fondamentalmente, e ci permettiamo di stimarci, forse, un po’ più del solito.

L’amore prevale sull’odio, se vi piace di più.

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Diversamente, quando questa distanza dai nostri valori si fa più grande, beh, accade tutto il contrario. Il disprezzo a prevalere sulla lode, l’odio sull’amore, e così via.

È questo, in fin dei conti, a rendere la compagnia di se stessi così conflittuale, così negativa, così faticosa da reggere, giorno dopo giorno.

La solitudine, in questi casi, diventa uno stare in compagnia di chi più conosce le nostre mancanze, e di chi ha più ha interesse a farcele presenti.

La partita si gioca qui: in come noi valutiamo questa presenza, questo giudizio.

La presenza di chi ci ricorda, giorno dopo giorno, di quanto siamo meno rispetto a quanto vorremmo che fossimo.

Il giudizio di chi, dall’alto dei valori che difende, ci dice quanto distanti siamo dai essi.

Pesante è tale giudizio, certo, ma non necessariamente. Il peso, infatti, svanisce in assenza di gravità. La legge, universale per tutti, vale anche in questi casi.

Siamo noi la legge della nostra gravità, una legge che valuta quanto siano pesanti tali mancanze.

Pesa ciò che ci appare destinato a rimanere nel tempo come tale: un difetto immutabile, una prova di quanto siamo e saremo per sempre distanti da chi vorremo essere. Un atto che attesta la nostra imperfezione.

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Ma la perfezione non esiste, lo sappiamo, ma tutti la ricerchiamo, in fin dei conti. Chi più, chi meno. Perché ognuno aspira a diventare migliore della persona che è, che crede di essere.

Ecco dunque svelata la soluzione: la critica come sussurro silenzioso di chi ama la nostra persona, anziché odiarla; di chi vede in noi un potenziale; di chi riconosce la possibilità d’essere ciò che oggi non è ancora.

Parole complesse, forse, ma più semplici di quel che si crede.

Imparare a vedere le critiche che noi rivolgiamo a noi stessi come tentativi premurosi di chi crede che noi possiamo essere migliori di come siamo; di chi non nega una bellezza che già dà per scontata.

Questo è dunque l’invito di oggi: imparate a vedere questa compagnia come un amico fidato, gentile, che critica, si, ma costruttivamente, perché, in fondo, sa quanto noi valiamo.

<< Beato colui che ha imparato a ridere di se stesso, perché non finirà mai di divertirsi >> (John Enoch Powell)

#5. EVITA DI FARTI PRENDERE DAL PANICO

fatica a respirare covid

In questo periodo è assai probabile che sintomi influenzali a cui in precedenza avremmo prestato poca attenzione diventino improvvisamente di grande rilevanza per noi o per i nostri cari.

Tosse, mal di gola, giramenti di testa e difficoltà respiratorie possono in effetti essere informativi di una condizione di contagio da coronavirus, specie in un periodo in cui la diffusione di questo virus cresce di giorno in giorno.

Sincerarsi che tale sintomatologia non attesti una reale condizione di contagio è naturalmente il primo passo da compiersi. Contattare il proprio medico di base rappresenta dunque il primo passo da compiersi per prevenire possibili complicanze date da un eventuale contagio.

In assenza di analisi specialistiche, tuttavia, l’impossibilità di escludere l’eventualità del contagio può portare noi o chi vive tali sintomi a permanere in uno stato di preoccupazione particolarmente disagevole per la persona e per coloro con cui questa vive.

La questione che qui potremmo porci è dunque come affrontare al meglio la presenza in noi o in alcune persone con cui viviamo di questi comuni sintomi influenzali.

Iniziamo con l’affermare che vivere ansia in tali circostanze è un qualcosa di assolutamente normale. Se non ora, infatti, in quali altri casi dovremmo preoccuparci per la nostra salute?

L’ansia, d’altronde, è una condizione normale e non patologica che il nostro organismo assume per preservarci da possibili pericoli; in questo caso, la possibilità di un contagio da coronavirus.

Informare il proprio medico di base e seguire alla lettera le raccomandazioni del Ministero Della Salute esprimono esattamente i comportamenti prudenziali che in questo periodo potrebbero essere attivati da questa normale e sana condizione di preoccupazione per la nostra salute.

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È pur vero che tale preoccupazione non si ridurrebbe semplicemente mettendo in atto questi comportamenti; ma, d’altronde, non è questo lo scopo per il quale simili raccomandazioni sono state proposte.

Infatti, la preoccupazione che ora potremmo star vivendo:

  • è normale, poiché tutti vivrebbero ansia all’idea di aver contratto una grave malattia;
  • è sana, perché ci aiuta a mettere in atto comportamenti prudenziali;
  • è utile, perché ci dà la giusta motivazione a compiere atti comunque stressanti.

La questione non è dunque quella di cercare di eliminare l’ansia che si potrebbe vivere in presenza di tosse, mal di gola, difficoltà respiratorie, e così via, ma bensì quella di evitare che tale ansia aumenti inutilmente portando noi o le persone che sperimentano tali sintomi a preoccuparsi più del necessario.

Quando una preoccupazione è eccessiva?

Quando non assolve più la funzione per la quale è emersa; in questo caso, quando non contribuisce in nessun modo a preservarci dall’eventualità di un contagio.

Non è facendoci venire un attacco di panico che ci preserveremo dal coronavirus.

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Ecco dunque come diventa utile evitare di alimentare inutilmente le proprie o altrui preoccupazioni cercando di mantenerle ad un livello accettabile e gestibile, al fine di prevenire il possibile emergere di problematiche ossessive o di ipocondria.

In che modo?

  • Riducendo le ricerche su internet sul coronavirus che potrebbero compiersi per noi stessi o per gli altri;
  • Evitando di chiedere costanti rassicurazioni ad amici e familiari sul proprio stato di salute, o di rispondere a coloro che vorrebbero essere costantemente rassicurati;
  • Evitando di mantenere l’ attenzione attorno alle proprie preoccupazioni, e dunque provando a distrarsi conducendo un’attività piacevole capace di attirare maggiormente l’attenzione;
  • Evitando di parlare sempre delle preoccupazioni proprie o altrui, ed introducendo nuovi argomenti di discussione;
  • Sforzandosi di proseguire nelle attività quotidiane anche se agitati o demotivati, o invitando gli altri a proseguire in tali attività;
  • Evitando di monitorare costantemente il proprio stato di salute, pianificando un massimo di controlli da effettuare al giorno, magari seguendo le indicazioni del proprio medico di base;
  • Tranquillizzandosi nei momenti in cui ci si potrebbe sentire più agitati attraverso una pratica di rilassamento (es., respirazione diaframmatica);
  • Rallentando la velocità con cui si parla o si compiono le attività quotidiane, al fine di contrastare l’incremento del proprio stato di attivazione interna e comunicare indirettamente al corpo che “è tutto OK”;
  • Parlando tra sé e sé nel tentativo di mettere in discussione i brutti pensieri che normalmente potrebbero insorgere in queste circostanze (es., “Il semplice pensare di aver contratto il virus non certifica che io effettivamente sia contagiato. Sono solo brutti pensieri!”).
  • Richiedendo una consulenza psicologica online in caso di intensificarsi dello dell’ansia, in un’ottima di contenimento del disagio e di prevenzione del proprio stato di salute psico-emotiva.

«Una gallina pensierosa si metteva in un angolo del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò cosa la preoccupasse. “La calvizie”, rispose la gallina pensierosa» (Luigi Malerba)

#6. EVITA DI SPRECARE TEMPO ED ENERGIE A LAMENTARTI PER SITUAZIONI CHE NON POSSONO ESSERE CAMBIATE

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Nel definire cosa sia l’ intelligenza, gli psicologi scoprirono loro rammarico come anche un concetto apparentemente così scontato risentisse in realtà di valori per nulla universali.

Secondo una visione comune all’interno della società occidentale, l’intelligenza non sarebbe altro che quell’insieme di capacità che aiuterebbero ad essere nel complesso più efficienti in tutte le diverse attività nelle quali si fosse coinvolti. L’immagine del businessman rende bene l’idea

Diversamente, la visione orientale riconosce l’intelligenza come quell’insieme di capacità riflessive di natura introspettiva che ci permettono di riconoscere e comprendere in modo pressoché intuitivo i propri stati interni. Un monaco tibetano, per intenderci, sarebbe dunque considerato una figura dalle spiccate doti intellettive.

Come è facile da intuire, ognuno ha un’idea differente di cosa sia l’intelligenza.

Personalmente mi ha sempre colpito la definizione semplice e parsimoniosa che nei primi anni del ‘900 offrì Alfred Binet, un celebre studioso di questo tema:

<< L’intelligenza si caratterizza come il miglior adattamento possibile dell’individuo al suo ambiente >>.

Riuscire ad adattarsi alle circostanze che potrebbero capitarci rappresenterebbe, secondo questa chiave di lettura, un fattore centrale di qualsivoglia comportamento intelligente.

Lo sa bene Stephen King che, riprendendo un celebre racconto di Elbert Hubbard, così riassume questo discorso:

<< Se la vita ti dà limoni, fatti una bella limonata >>.

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Certo, la questione qui sollevata va oltre il semplice discorso di intelligenza finora portato avanti, chiamandoci semmai a riflettere attorno al significato più profondo di “adattamento”.

Che cosa significa adattarsi?

Adattarsi comporta il riconoscere che il mondo non segue i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre aspettative. Al contrario, comporta il prendere atto che il mondo ha vita propria, accettandola per quella che si mostra ai nostri occhi.

In parole povere: non sempre le cose vanno secondo i nostri piani.

Adattarsi richiede dunque flessibilità mentale, saggezza, ma anche comprensione. Infatti, perché si possa accettare che le cose non siano effettivamente come vorremmo che fossero, occorre comprendere che, quanto attualmente ci sta impedendo di vedere realizzati i nostri sogni, sia non solo possibile, ma anche immodificabile con una nostra azione.

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Chi mai si adatterebbe a vivere una condizione spiacevole sapendo di poterla modificare in senso positivo?

Il problema che qui si pone è dunque quello di comprendere se il lamento sia o meno utile per attivare in noi o in altri un cambiamento delle nostre condizioni.

Detto diversamente, traggo più vantaggio dal lamentarmi per ciò che sta accadendo o dall’accettare questo periodo di reclusione domestica?

Non spetta certamente a me giudicare quando sia giusto o sbagliato rinunciare ai propri interessi per adattarsi alla realtà che si starebbe vivendo.

Tale scelta, delicata e complessa, meriterebbe certo trattazione ben altra rispetto a quella che qui potrebbe essere offerta in poche righe.

D’altronde, come ci ricorda saggiamente George Bernard Shaw:

<< Gli uomini ragionevoli si adattano al mondo, quelli irragionevoli insistono nel voler adattare il mondo a se stessi. Perciò il progresso dipende essenzialmente dagli uomini irragionevoli >>.

Vero è, tuttavia, che il quesito da noi posto merita una risposta, seppure vaga e approssimativa.

Ebbene, potremmo allora intendere per “adattamento” la capacità che le persone hanno di ridurre la pretesa che il mondo si comporti secondo i propri bisogni e desideri, a patto, e questo è bene sottolinearlo, che tale adattamento non sia vissuto né nei termini di una resa, né in modo in modo passivo.

Si accetta di adattarsi perché conviene. Per se stessi.

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Ne è un esempio lo sportivo che, trovatosi costretto in casa, accetta di non lamentarsi perché trova più utile investire tempo ed energie ad escogitarsi qualche ingegnoso esercizio in casa;

come pure il giovane che, ritrovatosi in casa con un mondo che non parla la sua lingua, evita di imprecare contro il fato preferendo piuttosto trovare soluzioni digitali per rimanere in contatto con amici e compagni di classe; e così via.

Davanti ad ogni muro che la vita potrà porci, dunque, siamo chiamati ad una scelta: incaponirci per non poter proseguire nel nostro cammino, o vedere una nuova tela dove dare vita alla nostra creatività.

<< Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo >> (Voltaire)

#7. IMPARA A GESTIRE LA NOIA AL PARI DELLE ALTRE EMOZIONI

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Chi la rabbia, chi lo stress, chi l’ansia, chi la tristezza. Ciascuno, a modo suo, potrebbe star vedendo le proprie giornate caratterizzarsi per la presenza di uno o più di questi comuni stati emotivi.

Ciascuna emozione spiega di fatto una specifica condizione che staremmo sperimentando.

La rabbia, ad esempio, ci segnala di aver vissuto nei termini di torto e di ingiustizia un comportamento al quale saremmo stati esposti.

L’ansia, al contrario, ci segnala la possibilità che qualcosa di minaccioso potrebbe accadere da un momento all’altro.

La tristezza, ancora, ci informa di aver vissuto un dato evento nei termini di una vera e propria perdita affettiva; e così via.

Tra le condizioni che potremmo vivere, tuttavia, c’è n’è una diversa da quelle emotive sopra esposte che ben facilmente potremmo vivere in questo periodo di quarantena: la noia

La noia, in effetti, non rappresenta un’emozione. Al contrario, esprime uno stato psicologico caratterizzato dall’assenza di emozioni.

Una condizione di neutralità che potremmo vivere nel momento stesso in cui non si stesse presentando alcun evento per noi rilevante.

Chi sperimenta noia vive dunque quanto gli sta accadendo in modo del tutto neutrale, non trovando appagamento o repulsione verso nulla in particolare.

Perché dunque parlarne come di un’emozione?

Perché non tutti riescono a convivere agevolmente con uno stato psicologico di questo tipo.

Sia chiaro: a nessuno piace la noia, per definizione. La noia non ha alcun tipo di valenza emotiva. Potete considerarla come il Tofu delle emozioni: un qualcosa che prende il “gusto” dell’emozione con cui si lega.

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Ecco dunque spiegato il motivo per il quale risulta importante imparare a gestire anche questa condizione, in quanto la sua presenza può portarci di riflesso a vivere altre emozioni, più intense, più difficili da gestire.

C’è, ad esempio, chi vive la noia con grande preoccupazione, specie se tale stato ha preceduto in passato l’esperienza di un vissuto di grande apatia e di perdita di interesse. Per queste persone, dunque, la noia potrebbe essere vissuta erroneamente come un campanello di allarme di una possibile depressione.

Diverso invece è il caso di chi nella vita è sempre riuscito a trovare qualcosa di nuovo e di piacevole da fare per non sprecare inutilmente il poco tempo a disposizione. Per tali persone, infatti, la noia non sarebbe altro che un ostacolo alla possibilità di stare bene con se stessi, e dunque un qualcosa fonte di stress e nervosismo.

I casi appena presentati mettono bene in evidenzia come il vero problema della noia non sarebbe tanto la noia in sé, quanto piuttosto l’atteggiamento assunto nei confronti di questa esperienza.

Un atteggiamento tendente ad allontanarsi dalla noia, infatti, può portarci a reagire alla presenza di questo vissuto nei modi più diversi, a seconda dell’emozione che staremmo vivendo.

Ecco dunque spiegato il motivo per cui spesso si parla di noia come di un’emozione, in quanto la sua presenza è in grado di attivare in noi vissuti emotivi che, se non riconosciuti e gestiti al meglio, possono portarci a mettere in atto comportamenti finalizzati ad allontanare tale condizione psicologica.

Va da sé che, in una condizione quale è quella che stiamo vivendo attualmente, simili comportamenti potrebbero risultare poco utili o impossibili da mettere in pratica.
Questo è il motivo per il quale diviene importante pensare ad un ventaglio di soluzioni alternative da adottare in presenza di questo vissuto.

vita in quarantena

Quali?

Eccone alcune:

  • Scindi l’emozione negativa che potresti stare vivendo dalla noia. Non è quest’ultima che ti starebbe portando a vivere tali emozioni, ma bensì l’atteggiamento che staresti assumendo nei confronti della noia. Imparare a riconoscere questo vissuto per quello che è realmente: una condizione neutrale;
  • Prova a sospendere momentaneamente i giudizi negativi che staresti rivolgendo verso questa comune esperienza umana, limitandoti ad osservarla e a constatare che, in quel dato momento, ti staresti semplicemente sentendo un pò annoiato;
  • Attendi che questo vissuto svanisca dall’esperienza che staresti percependo senza fare niente di particolare. La noia, dopotutto, non dura per sempre. Approfittane per coltivare una buona dose di calma e di pazienza. Fanno sempre comodo.

<< Non c’è nulla di più forte di quei due combattenti là: tempo e pazienza >> (Lev Tolstoj)

CONCLUSIONI

Quelli che sono stati proposti sono dei semplici spunti che potresti seguire  per riuscire a vivere al meglio questo periodo di quarantena.

Data l’importanza della tua salute, non precluderti naturalmente la possibilità di contattare uno specialista per una consulenza psicologica a distanza laddove lo ritenessi utile per ridurre eventuali condizioni di disagio o, aspetto non meno importante, per prevenire possibili complicazioni psico-emotive.

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Con gli spazi che si riducono, la convivenza può risultare particolarmente complessa, per noi e per le persone con cui viviamo.

Ovvietà, me ne rendo conto, ma è con questo genere di problemi che attualmente abbiamo a che fare.

Sorge dunque la necessità di pensare a delle soluzioni che ci consentano di passare indenni questo periodo di quarantena.

In questo articolo vi proporrò alcuni spunti che potreste seguire per gestire al meglio la vita ai tempi del coronavirus.

#1. EVITA DI MANIFESTARE IN MODO ESPLOSIVO E INCONTROLLATO LE TUE EMOZIONI

rabbia in quarantena

Non è facile, specie se in precedenza l’ equilibrio era mantenuto da una vicinanza scandita dai vari impegni della vita quotidiana.

Lo stare a stretto contatto con persone con le quali si trascorreva un quantitativo minore di tempo ha naturalmente delle ripercussioni sul nostro equilibrio emotivo.

Questo potrebbe manifestarsi in problemi sentimentali, litigi in famiglia o difficoltà con i figli.

Iniziate a prenderne atto, senza per questo giudicare gli altri o voi stessi per eventuali reazioni sopra le righe.

Di tutto potreste avere bisogno in questo momento che di dare o ricevere giudizi negativi mossi dall’impeto emotivo del momento.

Può capitare, a voi o ai vostri cari, di eccedere nei modi e nei toni. Esercitare una giusta dose di tolleranza verso gli altri e voi stessi, specie in un momento come questo. Tutti possono sbagliare, in fin dei conti.

Ricordate: ci troviamo in una situazione atipica, e come tale potrebbe essere utile adottare misure impensate fino a poco tempo prima, misure volte a non stravolgere gli equilibri, ma ad arginare possibili strappi.

Uno di questi è per l’appunto quello di rimandare eventuali discussioni a momenti durante la giornata in cui vi sentirete più in grado di imbastire una discussione dai toni più calmi civili. In breve, anziché cercare di risolvere tutto e subito, prendete tempo.

Ne abbiamo, più di quanto ne vorremmo. Sfruttiamolo dunque per fare qualcosa che ci consenta di stemperare lo stress e i rancori dello stare troppo tempo in casa.

Ci sarà tempo e modo per chiarirsi, a patto che ci si impegni nel non peggiorare ulteriormente le cose.

Questo non significherà non esprimere eventuali disappunti, quanto piuttosto farlo nei tempi e nei modi più utili per trovare assieme all’altro una soluzione costruttiva.

<< Arrivano momenti in cui è d’obbligo liberare una rabbia che scuota i cieli. Occorre per questo scegliere il momento giusto, la collera non va scatenata in modo indiscriminato >> (Clarissa Pinkola Estés)

#2. EVITA DI PORTARE RANCORE

tenere il broncio in quarantena

L’invito precedente a rimandare la risoluzione di un conflitto domestico ad un momento in cui le proprie emozioni fossero meno intense non dovrebbe portarci ad evitare completamente ogni tentativo di chiarimento con l’altro, pena il rischio di alimentare dentro di noi un forte nervosismo.

Portare rancore non ci aiuta né a trascorrere bene il momento che stiamo vivendo, né a chiarirci in futuro con coloro con cui è emersa una reale incomprensione.

Eppure lo facciamo, e spesso anche, convinti che questo sia il metodo migliore per rimarcare la nostra convinzione nei ragionamenti che ci hanno portato a scontrarci con il diretto interessato.

In questo tiro alla fune, portare rancore assolve dunque le sembianze di un tentativo di affermare con orgoglio le proprie motivazioni, e con esse la propria forza.

Letto in questi termini, infatti, il ravvedersi equivarrebbe ad ammettere all’altro le proprie mancanze da un punto di vista personale e caratteriale; un chiaro esempio di sottomissione che, in silenzio, andrebbe a lederci dal di dentro, passo dopo passo, portandoci a vivere con vergogna un eventuale ripensamento.

Evidente dunque la funzione del rancore: la salvaguardia della nostra immagine sociale e personale.

Ma è davvero necessario tutto questo?

Evidente altresì la risposta, ancor più se tenuto conto dei motivi per cui ipotizziamo possa nascere questo forte bisogno di affermarci sull’altro: la convinzione, profonda e spesso inconsapevole, che gli altri ci considerino più deboli di quanto in realtà sentiamo o vorremmo essere.

È per questo che, in questa lotta psicologica con l’altro, si crede che il riuscire ad avere effettivamente ragione sulle motivazioni altrui riesca a testimoniare all’altro la nostra vera forza.

Lo sanno bene gli esemplari adulti di molte specie animali che, una volta raggiunta la piena maturazione sessuale, sfidano il capo branco per innalzare il proprio rango sociale, affinché possano acquisire il diritto di accoppiamento con gli esemplari più giovani e fertili del gruppo.

conflitti di rango

Da animali evoluti quali siamo, fortunatamente, non abbiamo necessariamente bisogno di tale genere di competizione.

Un atteggiamento aggressivo di questo tipo, infatti, alimenta indirettamente in noi l’idea di essere davvero inferiori rispetto agli altri, predisponendoci ad un bisogno di competere e di affermarci che, se portato per le lunghe, può spingere gli altri ad isolarci.

Sappiamo ad esempio che la leadership, se non riconosciuta dagli altri, viene più o meno apertamente rifiutata, comportando fenomeni di esclusione dallo stesso gruppo da cui, paradossalmente, si vorrebbe essere riconosciuti come forti e capaci.

Non è un caso se il senso di colpa e il rammarico siano spesso avvertiti in chi è solito assumere un tal genere di atteggiamento, quali tentativi indiretti di essere inclusi nuovamente nel gruppo.

Quand’anche fosse questo il vostro caso, non temete!

L’intelligenza dell’essere umano è tale da portare le persone a vedere con grande stima e apprezzamento coloro che, dall’alto del loro orgoglio, fanno un passo indietro, manifestando con questo non già debolezza e sottomissione, quanto piuttosto intelligenza e forza d’animo.

In una parola, umiltà.

Approfittiamo dunque anche di momenti come questo per comprendere, crescere e migliorare. Non è mai troppo tardi.

<< Più rabbia verso il passato conservi nel tuo cuore, meno capace sei di amare il presente >> (Barbara De Angelis)

#3. NON TRASCURARE IL TEMPO PER TE STESSO

vita in quarantena leggendo

Uno dei motivi che in  questo periodo è spesso alla base delle liti domestiche è la mancanza di spazi da dedicare unicamente a se stessi.

Diciamolo chiaramente: riuscire a trovare nella propria giornata un tempo in cui pensare solo a sé non era cosa facile neanche prima dell’avvento del coronavirus.

I diversi impegni che arricchivano la nostra giornata erano tali da confinare questi momenti a poche e semplici attività dal gusto solitario.

C’è chi riusciva a ritagliarsi questi spazi nello sport, lontano dalla propria famiglia; chi nella lettura, magari dopo aver messo a letto i figli; chi ancora nella cucina, in attesa del rientro dei propri cari, e così via.

Ciascuno, nel proprio piccolo, riusciva cionondimeno a concedersi un momento per se stesso in cui rifiatare dai ritmi frenetici della giornata.

Ora che invece questi ritmi sono stati completamente stravolti e in cui viene ribadita l’importanza della distanza fisica, paradossalmente, sembra quasi impossibile riuscire ad essere realmente soli.

Dalle video-chiamate di amici e parenti lontani, allo smarthworking; dai figli a casa, ai genitori da supportare in caso di bisogno.

In questo periodo di grande cambiamento , tuttavia, ciò che non cambia è quel bisogno di libertà così importante per il corretto mantenimento di un buon equilibrio psicologico ed emotivo.

pensare a se stessi

Come riuscire dunque a ritagliarsi questo spazio ora che le distanze sembrano sempre più ridursi?

Il messaggio che qui mi preme sottolineare è che la possibilità per ciascuno di noi di confinarci entro spazi di libertà personali è indipendente dallo spazio fisico che abbiamo a disposizione.

Questi spazi possono essere creati nei piccoli gesti quotidiani, purché compiuti in uno stato “Mindfulness“. In parole povere, riuscire a vivere con maggiore pienezza i momenti specifici della giornata in cui si farà più intenso l’impulso ad allontanarvi da dove vi trovate.

Può apparire controintuitivo, specie laddove si considera la presenza mentale come un ulteriore vincolare la propria attenzione ad uno spazio convissuto con altre persone. Ma il semplice riporre maggiormente l’attenzione nel momento che stiamo vivendo, accettando tutto ciò che potremmo vivere, è forse il modo migliore per poterci concedere una pausa dalla frenesia di un fare che non trova più la sua normale espressione.

Simbolicamente, questi semplici gesti esprimono un modo per segnalare la nostra presenza a quella parte di noi stessi fino ad allora poco ascoltata. È questo quello di cui abbiamo bisogno in effetti: riascoltare i nostri bisogni in un momento dove ci sembra di essere completamente assorbiti a soddisfare i bisogni degli altri.

E quale primo passo se non quello di riascoltare cosa il nostro corpo, la nostra mente, le nostre emozioni hanno da dirci?

In termini pratici il tutto si traduce in modo più semplice di quanto si potrebbe pensare: provate semplicemente a concentrarvi su ciò che state vivendo, nel momento in cui in voi sarà maggiore questo slancio ad evadere dalla vostra dimora.

Ad attirare la vostra attenzione potrebbe essere il rumore degli uccelli fuori dalla finestra, a segnalarvi l’arrivo della primavera; la televisione dei vicini, che rimanda i suoni di qualche film classico dato per l’occasione in tv; la tensione del vostro corpo, dopo una giornata trascorsa affaccendati in casa; un brutto pensiero, che frequentemente torna alla mente.

profonda tristezza

Quale che sia ciò che percepirete nel momento in cui deciderete di fermarvi per dedicare questo piccolo intervallo a voi stessi, provate semplicemente a stare con queste sensazioni, con queste emozioni, con questi pensieri.

Possono suggerirvi molti più modi per prendervi cura di voi stessi di quanto potreste immaginare.

Per alcuni questo potrà comportare il riguardare un vecchio film, magari uno di quelli  che più lo aveva colpito in adolescenza; per altri potrebbe essere guardare alcune di quelle tante foto che si hanno memorizzate nel cellulare e a cui solitamente non si da più importanza; per qualcun altro potrà trattarsi invece di fare un bagno caldo e rilassante, per poi asciugarsi lentamente i capelli, magari ascoltando un brano musicale piacevole e distensivo.

Non importa come deciderete di prendervi cura di voi stessi, ma farlo vi aiuterà a vedere soddisfatti i vostri bisogni, senza dover necessariamente  attendere in modo pretenzioso o rassegnato che a farlo sia qualcun altro, spesso distante dal poter realmente comprendere il linguaggio delle vostre emozioni.

<<  Ascoltare bene è quasi rispondere >> (Pierre Marivaux)

#4. LEGGI L’AUTOCRITICA COME UN INVITO A MIGLIORARTI

vita in quarantena

Iniziamo con il dirci qualcosa che potrà sembrare a primo impatto insolito: la solitudine è un eccesso di relazione.

Relazione, poiché quella con se stessi è a tutti gli effetti una relazione, e come tutte le relazioni può essere piacevole o meno.

Da qui l’eccesso: un giudizio che noi in primis attribuiamo a questo incremento del tempo speso in nostra compagnia.

Noi stessi possiamo dunque essere una compagnia anche per noi stessi, non necessariamente delle migliori, anzi; molto spesso sono più le volte in cui questo lieto rapporto non sia né lieto, né un rapporto. Uno scontro, forse, costante e continuo, come nelle migliori storie d’amore.

Odio e amore; un’oscillanza questa di emozioni che si vivono quando la nostra persona stima o disistima se stessa.

Sulla base dei valori che ciascuno di noi persegue, tutti si giudicano. Ora positivamente, quando sentiamo di essere in linea con ciò che per noi più conta; ora negativamente, quando ci sentiamo distanti da tutto questo.

Il giudizio, dunque, non è altro che questo: lo sforzo, inconsapevole, che una parte di noi compie per informarci di quanto possiamo essere vicini o distanti da ciò che per noi ha valore.

Tanto più vicini ci sentiamo a ciò che per noi più conta, quanto più questa vicinanza con noi stessi è piacevole. Ci sentiamo in pace, con gli altri e con noi stessi. Ci critichiamo meno, fondamentalmente, e ci permettiamo di stimarci, forse, un po’ più del solito.

L’amore prevale sull’odio, se vi piace di più.

amore ai tempi del coronavirus

Diversamente, quando questa distanza dai nostri valori si fa più grande, beh, accade tutto il contrario. Il disprezzo a prevalere sulla lode, l’odio sull’amore, e così via.

È questo, in fin dei conti, a rendere la compagnia di se stessi così conflittuale, così negativa, così faticosa da reggere, giorno dopo giorno.

La solitudine, in questi casi, diventa uno stare in compagnia di chi più conosce le nostre mancanze, e di chi ha più ha interesse a farcele presenti.

La partita si gioca qui: in come noi valutiamo questa presenza, questo giudizio.

La presenza di chi ci ricorda, giorno dopo giorno, di quanto siamo meno rispetto a quanto vorremmo che fossimo.

Il giudizio di chi, dall’alto dei valori che difende, ci dice quanto distanti siamo dai essi.

Pesante è tale giudizio, certo, ma non necessariamente. Il peso, infatti, svanisce in assenza di gravità. La legge, universale per tutti, vale anche in questi casi.

Siamo noi la legge della nostra gravità, una legge che valuta quanto siano pesanti tali mancanze.

Pesa ciò che ci appare destinato a rimanere nel tempo come tale: un difetto immutabile, una prova di quanto siamo e saremo per sempre distanti da chi vorremo essere. Un atto che attesta la nostra imperfezione.

perfezionismo verona

Ma la perfezione non esiste, lo sappiamo, ma tutti la ricerchiamo, in fin dei conti. Chi più, chi meno. Perché ognuno aspira a diventare migliore della persona che è, che crede di essere.

Ecco dunque svelata la soluzione: la critica come sussurro silenzioso di chi ama la nostra persona, anziché odiarla; di chi vede in noi un potenziale; di chi riconosce la possibilità d’essere ciò che oggi non è ancora.

Parole complesse, forse, ma più semplici di quel che si crede.

Imparare a vedere le critiche che noi rivolgiamo a noi stessi come tentativi premurosi di chi crede che noi possiamo essere migliori di come siamo; di chi non nega una bellezza che già dà per scontata.

Questo è dunque l’invito di oggi: imparate a vedere questa compagnia come un amico fidato, gentile, che critica, si, ma costruttivamente, perché, in fondo, sa quanto noi valiamo.

<< Beato colui che ha imparato a ridere di se stesso, perché non finirà mai di divertirsi >>
(John Enoch Powell)

#5. EVITA DI FARTI PRENDERE DAL PANICO

fatica a respirare covid

In questo periodo è assai probabile che sintomi influenzali a cui in precedenza avremmo prestato poca attenzione diventino improvvisamente di grande rilevanza per noi o per i nostri cari.

Tosse, mal di gola, giramenti di testa e difficoltà respiratorie possono in effetti essere informativi di una condizione di contagio da coronavirus, specie in un periodo in cui la diffusione di questo virus cresce di giorno in giorno.

Sincerarsi che tale sintomatologia non attesti una reale condizione di contagio è naturalmente il primo passo da compiersi. Contattare il proprio medico di base rappresenta dunque il primo passo da compiersi per prevenire possibili complicanze date da un eventuale contagio.

In assenza di analisi specialistiche, tuttavia, l’impossibilità di escludere l’eventualità del contagio può portare noi o chi vive tali sintomi a permanere in uno stato di preoccupazione particolarmente disagevole per la persona e per coloro con cui questa vive.

La questione che qui potremmo porci è dunque come affrontare al meglio la presenza in noi o in alcune persone con cui viviamo di questi comuni sintomi influenzali.

Iniziamo con l’affermare che vivere ansia in tali circostanze è un qualcosa di assolutamente normale. Se non ora, infatti, in quali altri casi dovremmo preoccuparci per la nostra salute?

L’ansia, d’altronde, è una condizione normale e non patologica che il nostro organismo assume per preservarci da possibili pericoli; in questo caso, la possibilità di un contagio da coronavirus.

Informare il proprio medico di base e seguire alla lettera le raccomandazioni del Ministero Della Salute esprimono esattamente i comportamenti prudenziali che in questo periodo potrebbero essere attivati da questa normale e sana condizione di preoccupazione per la nostra salute.

coronavirus raccomandazioni

È pur vero che tale preoccupazione non si ridurrebbe semplicemente mettendo in atto questi comportamenti; ma, d’altronde, non è questo lo scopo per il quale simili raccomandazioni sono state proposte.

Infatti, la preoccupazione che ora potremmo star vivendo:

  • è normale, poiché tutti vivrebbero ansia all’idea di aver contratto una grave malattia;
  • è sana, perché ci aiuta a mettere in atto comportamenti prudenziali;
  • è utile, perché ci dà la giusta motivazione a compiere atti comunque stressanti.

La questione non è dunque quella di cercare di eliminare l’ansia che si potrebbe vivere in presenza di tosse, mal di gola, difficoltà respiratorie, e così via, ma bensì quella di evitare che tale ansia aumenti inutilmente portando noi o le persone che sperimentano tali sintomi a preoccuparsi più del necessario.

Quando una preoccupazione è eccessiva?

Quando non assolve più la funzione per la quale è emersa; in questo caso, quando non contribuisce in nessun modo a preservarci dall’eventualità di un contagio.

Non è facendoci venire un attacco di panico che ci preserveremo dal coronavirus.

panico coronavirus

Ecco dunque come diventa utile evitare di alimentare inutilmente le proprie o altrui preoccupazioni cercando di mantenerle ad un livello accettabile e gestibile, al fine di prevenire il possibile emergere di problematiche ossessive o di ipocondria.

In che modo?

  • Riducendo le ricerche su internet sul coronavirus che potrebbero compiersi per noi stessi o per gli altri;
  • Evitando di chiedere costanti rassicurazioni ad amici e familiari sul proprio stato di salute, o di rispondere a coloro che vorrebbero essere costantemente rassicurati;
  • Evitando di mantenere l’ attenzione attorno alle proprie preoccupazioni, e dunque provando a distrarsi conducendo un’attività piacevole capace di attirare maggiormente l’attenzione;
  • Evitando di parlare sempre delle preoccupazioni proprie o altrui, ed introducendo nuovi argomenti di discussione;
  • Sforzandosi di proseguire nelle attività quotidiane anche se agitati o demotivati, o invitando gli altri a proseguire in tali attività;
  • Evitando di monitorare costantemente il proprio stato di salute, pianificando un massimo di controlli da effettuare al giorno, magari seguendo le indicazioni del proprio medico di base;
  • Tranquillizzandosi nei momenti in cui ci si potrebbe sentire più agitati attraverso una pratica di rilassamento (es., respirazione diaframmatica);
  • Rallentando la velocità con cui si parla o si compiono le attività quotidiane, al fine di contrastare l’incremento del proprio stato di attivazione interna e comunicare indirettamente al corpo che “è tutto OK”;
  • Parlando tra sé e sé nel tentativo di mettere in discussione i brutti pensieri che normalmente potrebbero insorgere in queste circostanze (es., “Il semplice pensare di aver contratto il virus non certifica che io effettivamente sia contagiato. Sono solo brutti pensieri!”).
  • Richiedendo una consulenza psicologica online in caso di intensificarsi dello dell’ansia, in un’ottima di contenimento del disagio e di prevenzione del proprio stato di salute psico-emotiva.

«Una gallina pensierosa si metteva in un angolo del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò cosa la preoccupasse. “La calvizie”, rispose la gallina pensierosa» (Luigi Malerba)

#6. EVITA DI SPRECARE TEMPO ED ENERGIE A LAMENTARTI PER SITUAZIONI CHE NON POSSONO ESSERE CAMBIATE

bisogno di spazi personali

Nel definire cosa sia l’ intelligenza, gli psicologi scoprirono loro rammarico come anche un concetto apparentemente così scontato risentisse in realtà di valori per nulla universali.

Secondo una visione comune all’interno della società occidentale, l’intelligenza non sarebbe altro che quell’insieme di capacità che aiuterebbero ad essere nel complesso più efficienti in tutte le diverse attività nelle quali si fosse coinvolti. L’immagine del businessman rende bene l’idea

Diversamente, la visione orientale riconosce l’intelligenza come quell’insieme di capacità riflessive di natura introspettiva che ci permettono di riconoscere e comprendere in modo pressoché intuitivo i propri stati interni. Un monaco tibetano, per intenderci, sarebbe dunque considerato una figura dalle spiccate doti intellettive.

Come è facile da intuire, ognuno ha un’idea differente di cosa sia l’intelligenza.

Personalmente mi ha sempre colpito la definizione semplice e parsimoniosa che nei primi anni del ‘900 offrì Alfred Binet, un celebre studioso di questo tema:

<< L’intelligenza si caratterizza come il miglior adattamento possibile dell’individuo al suo ambiente >>.

Riuscire ad adattarsi alle circostanze che potrebbero capitarci rappresenterebbe, secondo questa chiave di lettura, un fattore centrale di qualsivoglia comportamento intelligente.

Lo sa bene Stephen King che, riprendendo un celebre racconto di Elbert Hubbard, così riassume questo discorso:

<< Se la vita ti dà limoni, fatti una bella limonata >>.

accettazione

Certo, la questione qui sollevata va oltre il semplice discorso di intelligenza finora portato avanti, chiamandoci semmai a riflettere attorno al significato più profondo di “adattamento”.

Che cosa significa adattarsi?

Adattarsi comporta il riconoscere che il mondo non segue i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre aspettative. Al contrario, comporta il prendere atto che il mondo ha vita propria, accettandola per quella che si mostra ai nostri occhi.

In parole povere: non sempre le cose vanno secondo i nostri piani.

Adattarsi richiede dunque flessibilità mentale, saggezza, ma anche comprensione. Infatti, perché si possa accettare che le cose non siano effettivamente come vorremmo che fossero, occorre comprendere che, quanto attualmente ci sta impedendo di vedere realizzati i nostri sogni, sia non solo possibile, ma anche immodificabile con una nostra azione.

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Chi mai si adatterebbe a vivere una condizione spiacevole sapendo di poterla modificare in senso positivo?

Il problema che qui si pone è dunque quello di comprendere se il lamento sia o meno utile per attivare in noi o in altri un cambiamento delle nostre condizioni.

Detto diversamente, traggo più vantaggio dal lamentarmi per ciò che sta accadendo o dall’accettare questo periodo di reclusione domestica?

Non spetta certamente a me giudicare quando sia giusto o sbagliato rinunciare ai propri interessi per adattarsi alla realtà che si starebbe vivendo.

Tale scelta, delicata e complessa, meriterebbe certo trattazione ben altra rispetto a quella che qui potrebbe essere offerta in poche righe.

D’altronde, come ci ricorda saggiamente George Bernard Shaw:

<< Gli uomini ragionevoli si adattano al mondo, quelli irragionevoli insistono nel voler adattare il mondo a se stessi. Perciò il progresso dipende essenzialmente dagli uomini irragionevoli >>.

Vero è, tuttavia, che il quesito da noi posto merita una risposta, seppure vaga e approssimativa.

Ebbene, potremmo allora intendere per “adattamento” la capacità che le persone hanno di ridurre la pretesa che il mondo si comporti secondo i propri bisogni e desideri, a patto, e questo è bene sottolinearlo, che tale adattamento non sia vissuto né nei termini di una resa, né in modo in modo passivo.

Si accetta di adattarsi perché conviene. Per se stessi.

prendersi cura di se verona

Ne è un esempio lo sportivo che, trovatosi costretto in casa, accetta di non lamentarsi perché trova più utile investire tempo ed energie ad escogitarsi qualche ingegnoso esercizio in casa;

come pure il giovane che, ritrovatosi in casa con un mondo che non parla la sua lingua, evita di imprecare contro il fato preferendo piuttosto trovare soluzioni digitali per rimanere in contatto con amici e compagni di classe; e così via.

Davanti ad ogni muro che la vita potrà porci, dunque, siamo chiamati ad una scelta: incaponirci per non poter proseguire nel nostro cammino, o vedere una nuova tela dove dare vita alla nostra creatività.

<< Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo >> (Voltaire)

#7. IMPARA A GESTIRE LA NOIA AL PARI DELLE ALTRE EMOZIONI

la vita in quarantena è noiosa

Chi la rabbia, chi lo stress, chi l’ansia, chi la tristezza. Ciascuno, a modo suo, potrebbe star vedendo le proprie giornate caratterizzarsi per la presenza di uno o più di questi comuni stati emotivi.

Ciascuna emozione spiega di fatto una specifica condizione che staremmo sperimentando.

La rabbia, ad esempio, ci segnala di aver vissuto nei termini di torto e di ingiustizia un comportamento al quale saremmo stati esposti.

L’ansia, al contrario, ci segnala la possibilità che qualcosa di minaccioso potrebbe accadere da un momento all’altro.

La tristezza, ancora, ci informa di aver vissuto un dato evento nei termini di una vera e propria perdita affettiva; e così via.

Tra le condizioni che potremmo vivere, tuttavia, c’è n’è una diversa da quelle emotive sopra esposte che ben facilmente potremmo vivere in questo periodo di quarantena: la noia

La noia, in effetti, non rappresenta un’emozione. Al contrario, esprime uno stato psicologico caratterizzato dall’assenza di emozioni.

Una condizione di neutralità che potremmo vivere nel momento stesso in cui non si stesse presentando alcun evento per noi rilevante.

Chi sperimenta noia vive dunque quanto gli sta accadendo in modo del tutto neutrale, non trovando appagamento o repulsione verso nulla in particolare.

Perché dunque parlarne come di un’emozione?

Perché non tutti riescono a convivere agevolmente con uno stato psicologico di questo tipo.

Sia chiaro: a nessuno piace la noia, per definizione. La noia non ha alcun tipo di valenza emotiva. Potete considerarla come il Tofu delle emozioni: un qualcosa che prende il “gusto” dell’emozione con cui si lega.

noia coronavirus

Ecco dunque spiegato il motivo per il quale risulta importante imparare a gestire anche questa condizione, in quanto la sua presenza può portarci di riflesso a vivere altre emozioni, più intense, più difficili da gestire.

C’è, ad esempio, chi vive la noia con grande preoccupazione, specie se tale stato ha preceduto in passato l’esperienza di un vissuto di grande apatia e di perdita di interesse. Per queste persone, dunque, la noia potrebbe essere vissuta erroneamente come un campanello di allarme di una possibile depressione.

Diverso invece è il caso di chi nella vita è sempre riuscito a trovare qualcosa di nuovo e di piacevole da fare per non sprecare inutilmente il poco tempo a disposizione. Per tali persone, infatti, la noia non sarebbe altro che un ostacolo alla possibilità di stare bene con se stessi, e dunque un qualcosa fonte di stress e nervosismo.

I casi appena presentati mettono bene in evidenzia come il vero problema della noia non sarebbe tanto la noia in sé, quanto piuttosto l’atteggiamento assunto nei confronti di questa esperienza.

Un atteggiamento tendente ad allontanarsi dalla noia, infatti, può portarci a reagire alla presenza di questo vissuto nei modi più diversi, a seconda dell’emozione che staremmo vivendo.

Ecco dunque spiegato il motivo per cui spesso si parla di noia come di un’emozione, in quanto la sua presenza è in grado di attivare in noi vissuti emotivi che, se non riconosciuti e gestiti al meglio, possono portarci a mettere in atto comportamenti finalizzati ad allontanare tale condizione psicologica.

Va da sé che, in una condizione quale è quella che stiamo vivendo attualmente, simili comportamenti potrebbero risultare poco utili o impossibili da mettere in pratica.
Questo è il motivo per il quale diviene importante pensare ad un ventaglio di soluzioni alternative da adottare in presenza di questo vissuto.

trovare una soluzione

Quali?

Eccone alcune:

  • Scindi l’emozione negativa che potresti stare vivendo dalla noia. Non è quest’ultima che ti starebbe portando a vivere tali emozioni, ma bensì l’atteggiamento che staresti assumendo nei confronti della noia. Imparare a riconoscere questo vissuto per quello che è realmente: una condizione neutrale;
  • Prova a sospendere momentaneamente i giudizi negativi che staresti rivolgendo verso questa comune esperienza umana, limitandoti ad osservarla e a constatare che, in quel dato momento, ti staresti semplicemente sentendo un pò annoiato;
  • Attendi che questo vissuto svanisca dall’esperienza che staresti percependo senza fare niente di particolare. La noia, dopotutto, non dura per sempre. Approfittane per coltivare una buona dose di calma e di pazienza. Fanno sempre comodo.

<< Non c’è nulla di più forte di quei due combattenti là: tempo e pazienza >> (Lev Tolstoj)

CONCLUSIONI

Quelli che sono stati proposti sono dei semplici spunti che potresti seguire  per riuscire a vivere al meglio questo periodo di quarantena.

Data l’importanza della tua salute, non precluderti naturalmente la possibilità di contattare uno specialista per una consulenza psicologica a distanza laddove lo ritenessi utile per ridurre eventuali condizioni di disagio o, aspetto non meno importante, per prevenire possibili complicazione psico-emotive.

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